Il mondo del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano è in fermento per gli attacchi pesanti che giungono non solo dalla crisi ma anche dal proliferare del taroccamento. Per la prima volta è sceso in piazza il popolo del Parmigiano con una colorata compagine di allevatori, casari, stagionatori, assaggiatori, cuochi, gourmet e tanti consumatori in allarme per difendere il formaggio italiano più conosciuto nel mondo, a tre anni dal terremoto che ha rovesciato a terra centinaia di migliaia di forme e distrutto stalle, caseifici e magazzini. Una manifestazione , tra modernità e tradizione, lanciata su twitter con l’hashtag #ParmigiAmo, ma che a Bologna meno virtualmente ha visto i casari realizzare in piazza le forme secondo gli antichi rituali, con caldaio di rame su fuoco di legna ed una vera e propria stalla con vacche rosse, la storica razza da cui è nato il Parmigiano Reggiano. Con una antica zangola è stato inoltre realizzato il burro, prodotto derivato dal latte del Parmigiano Reggiano, come si faceva un tempo.
Sul banco degli imputati in una sorta di “galleria degli orrori” sono state fatte sfilare le molteplici imitazioni del Parmigiano reggiano scovate dalla Coldiretti nei diversi continenti. Dal Parmesao brasiliano al Grana Pampeana dell’argentina, dal Reggianito al Parmesan, venduto praticamente ovunque. Ma è stato addirittura realizzato un ipotetico Parmigiano realizzato attraverso un kit acquistabile su internet e messo a confronto con il prodotto originale offerto in grandi quantità a tutti i cittadini a sostegno della protesta.
“Il Parmigiano non si fa in Wisconsin”, “Fermiamo i furbetti del Parmigiano”, “No Parmigiano no Expo”, “Senza stop al Parmesan niente accordi con gli Usa nel TTIP” o “Senza stalle non si fa il Parmigiano” sono stati solo alcuni degli slogan dei sostenitori dell’iniziativa.
Il Parmigiano Reggiano ed il Grana Padano sono i formaggi più presenti sulle tavole degli italiani. La loro produzione sta soffrendo il peso della concorrenza sleale che consente di spacciare nel mondo prodotti di imitazione che non rispettano le rigide norme previste dal disciplinare di produzione. Il risultato è che dall’inizio della crisi, nel 2007, hanno chiuso più di mille stalle per la produzione di latte da destinare al Parmigiano Reggiano e gli abbandoni non sembrano arrestarsi con i compensi riconosciuti agli allevatori al di sotto dei costi.
A rischio, insomma, è un intero sistema produttivo che vale complessivamente quasi 4 miliardi di fatturato, con il Grana Padano che si colloca al vertice delle produzioni italiane tutelate dall’Unione Europea, con un volume di affari che vale 1,5 miliardi al consumo nazionale e 530 milioni. Il Parmigiano Reggiano si colloca al secondo posto con 1,5 miliardi al consumo nazionale e 460 milioni all’export. I compensi riconosciuti ai caseifici e agli allevatori per il Parmigiano Reggiano sono precipitati al di sotto dei costi di produzione ed ora il mondo produttivo si trova a fronteggiare una situazione di crisi più grave del terremoto che tre anni fa aveva fatto crollare a terra migliaia di forme e distrutto stalle e magazzini. Nell’ultimo anno, secondo la Coldiretti, il prezzo pagato ai produttori di Parmigiano Reggiano è diminuito del 20% nel giro di dodici mesi, passando dai 9,12 euro del gennaio 2014 ai 7,31 euro di fine dicembre 2014. A differenza, il prezzo di vendita ai consumatori italiani è calato appena del 4% con effetti negativi sugli acquisti degli italiani. Sotto accusa anche la diffusione senza controllo dei cosiddetti “similgrana” spesso offerti già grattugiati che ingannano sulla reale origine e fanno concorrenza sleale al prodotto originale.
All’estero la situazione non è migliore con il valore delle esportazioni che è sceso nel 2014, con il calo più pesante che si è verificato negli Stati Uniti dove c’è stato un crollo del 10% per un fatturato attorno ai 100 milioni di euro, nonostante l’andamento favorevole del tasso di cambio, secondo le proiezioni Coldiretti su dati Istat.
È in crisi un sistema produttivo dal quale si ottengono circa 3,2 milioni di forme all’anno, con 363 piccoli caseifici artigianali della zona tipica alimentati dal latte prodotto nelle appena 3348 stalle rimaste nel 2014, dove si allevano 245mila vacche. Una stagionatura che varia da 12 a 24 mesi, il divieto nell’uso di insilati, additivi e conservanti nell’alimentazione del bestiame, un peso medio delle forme di 40 chili, l’impiego di 14 litri di latte per produrre un chilo di formaggio e 550 per produrre una forma sono le caratteristiche distintive del prodotto alimentare italiano più conosciuto e più imitato nel mondo, che ha ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento della loro determinazione a conservare inalterato nel tempo il metodo di lavorazione e l’altissimo livello qualitativo del formaggio che può contare su ben nove secoli di storia.
Le origini del Parmigiano Reggiano risalgono al Medioevo e vengono generalmente collocate attorno al XII secolo quando presso i monasteri benedettini e cistercensi di Parma di Reggio Emilia si diffuse la produzione di un formaggio a pasta dura, ottenuto attraverso la lavorazione del latte in ampie caldaie. Tra le prime citazioni quella di Giovanni Boccaccio che nel “Decamerone”, nel 1351, nel descrivere il Paese del Bengodi diceva “Et eravi una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva”.
di Eleonora Albertoni
6 Marzo 2015