L’eterna lotta di campanile tra Italia e Francia la si combatte su molti fronti, non solo a Ventimiglia. Ma anche su quello del pane. L’italica pagnotta ha infatti battuto la sofisticata baguette francese, sancendo che l’Italia è incontrastata leader in Europa con ben cinque pani riconosciuti e tutelati dall’Unione europea. Lo rende noto la Coldiretti all’Expo Milano 2015 dove, al Padiglione Coldiretti, è stata allestita la più ampia rassegna delle specialità tradizionali di pane delle diverse regioni italiane. La “coppia ferrarese”, la “pagnotta del Dittaino”, il “pane casareccio di Genzano”, il “pane di Altamura” e il “pane di Matera” sono i prodotti registrati e tutelati a livello comunitario che hanno permesso all’Italia di conquistare il primato Europeo.
In realtà sono centinaia le specialità tradizionali censite dalle diverse regioni. Si va dal “Pane cafone” della Campania, così chiamato perché con questo termine erano chiamati i contadini al tempo dei Borboni, al “Pan rustegh” della Lombardia che giustifica il vecchio detto “pane di villano, rustico ma sano”, dal “Pan ner” della Val D’Aosta ottenuto da un impasto di segale e frumento, alla “Lingua di Suocera” piemontese nel cui nome è sin troppo evidente il riferimento, per la verità un po’ cattivello, alla lunghezza della lingua delle suocere.
Scontro tra Igp, secondo la Coldiretti, passando dal “pane casareccio di Genzano”, il “decano” dei pani italiani certificati, avendo ottenuto la tutela Comunitaria nel lontano 1997, al “Pane di Matera”, orgoglio della Basilicata (Igp dal 2008) anche per la lunghissima tradizione documentata risalente al Regno di Napoli.
Ma c’è pure una sfida tra Dop se si comparano i pregi del ”Pane di Altamura”, che viene ottenuto dal rimacinato di semola di grano duro, ricavato dalla lavorazione di grani duri coltivati nel territorio della Murgia barese con quelli della “Pagnotta del Dittaino”, un pane caratteristico del cuore della Sicilia realizzato con grano duro coltivato nel territorio di numerosi comuni tra l’ennese ed il catanese, la cui vocazione cerealicola si perde nella leggenda legandosi al mito della “dea delle messi” Demetra/Cerere.
Pani tutti diversi e riconoscibili anche per la forma: da quella “ritorta” della “coppia ferrarese” (detta in dialetto “ciupeta”), sempre presente nei fastosi banchetti rinascimentali della corte estense, a quella del “Pane di Cerchiara” che si caratterizza, oltre che per la pezzatura che va dai due ai tre chili e mezzo anche per la forma rotonda con una gobba, detta anche “resella” o “sella”. O, infine, a quella infinitesimamente sottile del “Pane carasau”, originario della Barbagia e diffuso in tutta la Sardegna, conosciuto con il nome italiano di carta musica (o carta da musica) per la sua caratteristica croccantezza, che ne rende rumorosa la masticazione.
Numerosi, infine, sono i pani che hanno consentito la riscoperta di grani soppiantati da varietà più moderne, sacrificati sull’altare dell’aumento della produttività o delle necessità tecniche dell’agro-industria come è il caso del “Pane contadino di grano senatore Cappelli”, rinato in Molise, o dei pani abruzzesi “Carosella” e “Solina”, che hanno rivitalizzato due particolari grani teneri coltivati sin dal tempo dei Romani. Il primo con un discreto contenuto di glutine e di semola e con un equilibrato contenuto di amido che lo rende versatile e ottimo anche per la panificazione; il secondo, particolarmente resistente al freddo, coltivato in alcuni comuni montani del Parco Nazionale del Gran Sasso.
di Eleonora Albertoni
22 Giugno 2015