Il biologico Made in Italy si guarda attorno per cogliere le opportunità che vengono dai mercati esteri, ove spingere le proprie esportazioni, dagli Usa alla Cina, passando per la Francia e la Serbia. Il salone specializzato “Sana” di Bologna è stato infatti anche una utile occasione per fare il punto, grazie all’intervento di ICE-Agenzia per l’internazionalizzazione, sui mercati esteri e sulle migliori piazze di business per l’export bio Made in Italy, che nel 2014 ha raggiunto quota 1,4 miliardi di euro.
Per un Paese come l’Italia, che è il primo produttore di biologico in Europa, guardare oltre confine è naturale, ma bisogna sapere come muoversi. A fare da ponte tra le imprese nostrane e i buyers esteri, la cui presenza al “Sana” è quest’anno aumentata del 45%, ci pensa l’ICE, l’Agenzia governativa per il commercio estero.
“Il ruolo dell’ICE è quello di facilitare i contatti tra le imprese italiane e quelle straniere”, ha spiegato Guido Magnoni, coordinatore dell’area promozione prodotti alimentari di ICE, “affinché ci sia un effettivo incremento delle nostre esportazioni”.
Non a caso, ha aggiunto Magnoni, “il ‘Sana’, che è il principale evento del biologico in Italia e uno dei più importanti in Europa, rientra nel piano di valorizzazione delle fiere che hanno potenzialità di competitività europea, sostenuto dal Governo, e ci vede in prima fila, assieme a BolognaFiere, Federbio e le altre associazioni, per rafforzare l’export in un settore che è un forte volano per la nostra economia”.
A illustrare caratteristiche e opportunità del business oltreconfine ai produttori bio, sono stati i trade analyst che l’ICE ha sparso in ogni Paese e che al “Sana” 2015 hanno condotto seminari di orientamento per le imprese che vogliono migliorare gli affari all’estero.
“Il mercato francese del bio nel 2014 ha toccato quota 5 miliardi di euro di fatturato, pari al +10% sul 2013”, ha spiegato Deborah Clarin, trade analyst di ICE Parigi, “la produzione francese riesce a soddisfare il 76% del consumo nazionale”, lasciando quindi una finestra del 24% aperta per gli esportatori.
Secondo la trade analyst, gli imprenditori bio italiani che vogliono entrare nel mercato francese dovrebbero puntare, in particolare, “alla ristorazione collettiva poiché”, ha ricordato ancora Clarin, “il Governo di Parigi mira a toccare una quota di bio del 20% nel 2017 in tutte le mense collettive, dalle scuole a quelle aziendali.
Anche la Cina ha fame di bio e offre al mondo un mercato da 20 milioni di dollari. “La Cina”, ha riferito Zhenhao Deng, trade analyst di ICE Shanghai, “è il quarto Paese al mondo per importazioni bio, dopo Usa, Germania e Francia“. In particolare, sono le famiglie della classe media cinese, con figli, i clienti ideali per questo comparto. Sulle tavole cinesi ci sono soprattutto “legumi, frutta secca, riso, verdure e, recentemente, anche il vino”, quindi questi sono anche “i prodotti più richiesti”.
“Considerata la vastità del mercato cinese”, ha aggiunto Deng, “le opportunità per le imprese italiane sono enormi, ma servono alcune accortezze. È fondamentale accreditarsi presso l’Ofdc, ossia l’Organic food development center, il centro che verifica i prodotti bio che vengono importati in Cina, e dà cioè una sorta di licenza”.
“Una volta ottenuta questa licenza si può cominciare ad esportare in Cina”, ha concluso,
“ma per fare questo sarebbe meglio cooperare con un distributore cinese, oppure individuare una catena di supermercati di alimenti biologici e cercare di lavorare con loro, direttamente o tramite intermediari”.
Il bio Made in Italy piace anche agli americani che, però, producono molto in casa. Il trend è in crescita, e “gli americani sanno che gli italiani sono molto esigenti nel regolamentare il biologico e si fidano dei nostri prodotti”, ha spiegato Mirella Minglide, trade analyst dell’ICE di New York, “ma c’è ancora molto margine di crescita”.
“Sebbene uva, mele, limoni, arance, pasta, olio d’oliva, formaggio e in misura un po’ ridotta il vino, sono i prodotti più apprezzati, per legge federale, si importa ancora poco di prodotto fresco”, ha aggiunto Minglide, precisando che bisogna fare attenzione ai prezzi. “Il consumatore americano”, ha ricordato l’esperta, “guarda prima il prezzo, poi la qualità, quindi la tipologia di prodotto. Pertanto un utile consiglio è quello di pensare al prezzo, visto anche che il prodotto bio è molto più alto del prodotto convenzionale”.
Il suggerimento da parte di chi conosce e studia il mercato Usa è, dunque, quello di “guardare la linea dei prezzi di mercato e stare un po’ sotto a questo per essere competitivi”, specie rispetto alle produzioni locali.
Infine, venendo in Europa, la Serbia che, nonostante sia un bacino di clienti più ridotto, da un lato chiede un aiuto sul fronte del know how, dall’altro svolge un ruolo strategico, in virtù dei rapporti commerciali preferenziali che ha con una super potenza come la Russia.
“Lavorando ogni giorno in Serbia”, ha spiegato Giovanni Mafodda, direttore dell’ICE di Belgrado, “cogliamo una domanda da parte delle aziende serbe, di collaborazione con le aziende italiane per conoscere la loro storia di successo, in vista della futura adesione all’Ue”. L’allineamento, quindi, è ai parametri standard europei. Con questa mission votata allo scambio, dunque, al “Sana” di Bologna è arrivata l’associazione dei produttori biologici serbi. Dal canto loro, per gli agricoltori nostrani l’appuntamento felsineo è al Padiglione italiano allestito alla prossima fiera del bio di Novi Sad, punto di riferimento del comparto bio per tutti i Balcani.
di Dario De Marchi
14 Settembre 2015