Tra i pregi del Festival della Diplomazia c’è anche quello di far raccontare agli italiani la realtà e gli scenari,soprattutto economici, commerciali e industriali, di diversi Paesi. Autentiche lezioni di come si possono attrarre capitali e aziende, creare reddito e occupazione semplicemente facendo tutte quelle cose che l’Italia non fa. Un esempio per tutti è l’Australia, il sesto Paese del mondo per estensione, il più grande dell’Oceania e dell’intera Australasia, con una popolazione di oltre 23 milioni di abitanti, ma proiettato su tutto il Sud Est Asiatico, un mercato non solo enorme ma in continua crescita.
A raccontarlo è Mike Rann, 62 anni, del Partito Laburista Italiano, 44° Premier del South Australia dal 2002 al 2011, e ha una moglie pugliese. Bastano poche parole: “l’Australia è la 12.a economia mondiale e da 25 anni ha una continua crescita economica, mentre il tasso di disoccupazione è tra i più bassi. Un Paese che ha relazioni molte solide con l’Italia, dove vive oltre un milione di italiani, una grande opportunità per le imprese italiane, testimoniato dalla presenza di grandi gruppi e di piccole imprese del Made in Italy”.
Ma a suffragare uno scenario molto positivo sono stati imprenditori che, sobbarcandosi le 20 ore di volo, hanno avviato intraprese del Made in Italy in Australia. E nell’occasione del Festival della Diplomazia ne hanno parlato con entusiasmo e ottimismo, introdotti da Giorgio Bartolomucci, presidente del Festival della Diolomazia. Ad esempio il Cavaliere del Lavoro Mario Magaldi, presidente del Magaldi Group (azienda nata nel 1929 a Buccino, vicino a Salerno) è partito da una cinghia di trasmissione di cuoio ed ora leader mondiale nella produzione di impiantistica industriale per il trasporto di materiale ad alta temperatura per centrali termoelettriche, cementifici, fonderie e miniere. Dalla sede di Salerno ha aperto aziende in USA, Australia, India e Germania ove realizza circa l’80% della sua produzione; molto attiva nel settore ricerca, ha depositato negli ultimi 10 anni oltre 30 brevetti. Ed esporta il 90% della sua produzione in oltre 40 Paesi. Proprio in Australia il suo gruppo è ben presente ed è passato dai sistemi per le centrali a carbone a quelli solari per produrre energia elettrica. Di questo grande Paese ha elogiato “le molte caratteristiche positive, dalla burocrazia snella, facile e chiara, ai tempi brevi di una giustizia efficiente, dall’assenza di corruzione alla redditività degli investimenti. Insomma, l’incontrario di quanto avviene in Italia”.
Gli ha fatto eco Michael Lenton, direttore sviluppo del business di Selex (Finmeccanica) in Australia. “È un Paese in cui la res publica è importante, i tribunali sono puliti, le cause e i ricorsi brevi, le strade sono ordinate; guai ad infrangere le leggi; si rispettano le autorità che fanno rispettare le leggi; la burocrazia è al minimo, non si devono coinvolgere notai; le informazioni e le procedure per avere una licenza, un permesso, una certificazione sono chiare e facili; i pagamenti sono a 30 giorni. E tutto questo facilità enormemente gli affari” ha detto in un ottimo italiano che non denota le sue origini australiane. Così in Australia “le molte aziende italiane sono molto soddisfatte”. Sono là da anni Pirelli, Barilla, Eni, Ansaldo Sts, Ferrero, Parlmalat, Salini, Impregilo, SMEG Elettrodomestici, Ghella, Intesa San Paolo, solo per citarne alcune”, ha spiegato Lenton dicendo che “le aziende italiane hanno avuto il coraggio di investire in Australia. Il costo del lavoro è minore, il Governo statale e quelli provinciali incoraggiano gli investimenti e anzi fanno a gare per attrarre aziende”.
Insomma, secondo il manager dell’italiana Selex, al di là dell’iniziale problema di sobbarcarsi un volo di 20 ore, poi la strada è spianata: “quando i contratti cominciano ad arrivare, l’Australia sembra dietro l’angolo. È un Paese in cui correttezza e trasparenza nelle relazioni sono di primaria importanza. La fiducia genera fiducia e non c’è corruzione”. Il contrario dell’Italia.
Ma non ci sono solo i grandi gruppi del Made in Italy ad investire in Australia. Eloquente è l’esperienza di Paolo Bertani, tra i titolari della Birra del Borgo, di Piana di Spedino a Borgorose (Rieti). Partiti dieci anni fa producendo birra artigianale, sono poi sbarcati prima in Europa, e poi in USA, Brasile e, da tre anni, in Australia dove hanno installato uno stabilimento che, sempre con criteri artigianali, produce una serie di birre di successo con il marchio “Nomad”, esportata pure in dieci Paesi del Sud Est Asiatico. “Ci aiutato un mercato che paga il prezzo giusto, ma anche una burocrazia snella, che non ci ha ostacolato ma, anzi, supportato, anche con linee finanziarie” ha detto Bertani esemplificando così: “là in due anni abbiamo fatto quello che avevamo fatto prima in sette anni”.
A descrivere uno scenario quasi idilliaco in termini di burocrazia, infine, i racconti tecnici di William Paesland, manager degli investimenti per il Governo australiano, da Milano, e l’avv. Vincenza Alteri, dello studio legale Delfino e Associati, da anni in prima linea nell’affiancare le aziende italiane impegnate o intenzionate a sbarcare in Australia.
Pensando alle complessità, ai vizi, ai bizantinismi, al malaffare italiani verrebbe voglia di lasciare tutto, andare a Fiumicino e prendere il primo volo per l’Australia. Purtroppo tra i molti qualificati presenti non c’erano rappresentanti delle istituzioni e della politica italiana per apprendere che un Paese può crescere bene in modo semplice ed onesto.
di Dario de Marchi
30 Ottobre 2015