Arte è anche l’abilità creativa di fondere fotografia e architettura in un gioco di immagini suggestive. La galleria trendy “Spazio Nuovo” di Roma ospita la mostra “New Abstract” 12 lavori recenti di Carlo D’Orta, tra installazioni e fotografie di grande e medio formato, in un percorso che rende omaggio alla forza prorompente della fotografia astratta. Si tratta di un cammino che arriva direttamente nel cuore della fotografia contemporanea, come un viaggio graduale verso l’astrazione dove i curatori salvaguardano un seducente equilibrio tra forme, linee e impressioni di colori. Con l’originalità di esprimerle con nuovi materiali, come vetro e fogli di plexiglas.
“Sono spesso deluso dall’attuale ricerca dei terreni astratti della fotografia d’arte, mentre, di fatto, si tratta di un territorio essenziale, storico e infinitamente poetico”, ha detto Guillaume Maitre, associate director della galleria romana. “Ebbene, quando ho scoperto il lavoro di Carlo D’Orta ho finalmente trovato quell’energia creatrice, quella potenza immediata, quell’accuratezza nell’offrire un’immagine perfetta e senza finzione, mentre la realtà si dissolve lentamente”, ha aggiunto.
La sua creatività è una nuova astrazione che conferisce il nome alla mostra e che parte da una ricerca fotografica sull’architettura delle città contemporanee, esaltandone la geometria, le linee e l’effetto del colore. Una specificità di Carlo D’Orta (60 anni) é la conoscenza approfondita della pittura che gli facilita la frequentazione dei volumi, la composizione e soprattutto un accurato utilizzo dei colori.
Il talento dell’artista risalta nel sottile equilibrio costruito in ognuna delle sue opere tra il reale e una nuova forma di astrazione, quasi un gioco visivo. In esso la fotografia si offusca poco a poco di fronte all’evidenza delle forme e delle emozioni. Una tecnica artistica raffinata, una visione plastica che rende omaggio a Le Corbusier, Gaudi e Frank Lloyd Wright. L’autore “costruisce” le sue fotografie a seguito di numerosi viaggi, visioni e dubbi che, alla fine, sfociano in dolci certezze. La sua ricerca di una verità artistica propone una visione autonoma e purista dell’architettura, nella più semplice e naturale bellezza, privata del superfluo, chiave del lavoro d’avanguardia come insegna il grande fotografo Hiroshi Sugimoto.
L’attuale mostra di Carlo D’Orta, reduce da una apprezzata esposizione a Venezia, è stata pensata come un’esperienza grafica che ripropone la fotografia come mezzo precursore di nuove emozioni artistiche. Uno spazio, un’architettura, un’emozione senza tempo.
L’originalità delle immagini proposte induce a scavare su come nasce in D’Orta questa passione artistica. Lui stesso ha raccontato che “per due decenni ho fotografato con passione da viaggiatore, in un crescendo tecnico, anche grazie agli studi e ai consigli di buoni maestri. Ma con uno stile sempre documentario e tradizionale. Poi ho frequentato corsi di pittura alla ‘Rome University of Fine Arts’, per approfondire le mie conoscenze sull’arte contemporanea. Tale immersione intellettuale e materiale nelle arti visive ha trasformato la mia ‘visione’ fotografica (il paradosso è solo apparente). Attraverso l’obiettivo non ho più guardato la realtà oggettiva ma un altro mondo, fatto di particolari decontestualizzati, di linee e di forme, di combinazioni cromatiche spesso tendenti all’astrazione”.
A chi gli chiede come sia cambiato il modo di fotografare l’architettura rispetto a trent’anni fa, l’artista-fotografo ha sottolineato che “l’avvento del digitale ha accelerato l’evoluzione della fotografia come linguaggio sempre più autonomo. Un fenomeno già presente in alcuni fotografi di architettura del passato, penso alla straordinaria originalità e poesia di Gabriele Basilico o Lucien Hervé, e che oggi è un fenomeno sistematico, integrato nelle logiche linguistiche del mezzo. Persiste, naturalmente, una tendenza fotografica che documenta, spesso su committenza specifica, le opere di architettura. Ma si sta ampliando il territorio fotografico che dall’architettura trae spunti iconografici, assumendo un peso teorico e concettuale, pervenendo a prodotti nei quali l’originalità del racconto e l’interpretazione personale del soggetto esprimono maturità di contenuti. Metaforicamente, qui non c’è più una fotografia ancella dell’architettura, ma un matrimonio tra due arti”.
Per realizzare le sue foto, Carlo D’Orta ha abbandonato la pellicola e fotografa in digitale con attrezzature ad altissima definizione. Per la stampa dei grandi formati di architettura contemporanea (anche 250 x 180 cm) privilegia il plexiglass, che dà notevole profondità alle immagini, per le quali ricorre alla modalità tipo Diasec o alla stampa diretta in retroplexiglass con inchiostri UV. Per i formati più piccoli e per soggetti meno “contemporanei” fa stampare le immagini su carta con allestimenti più tradizionali.
Un lavoro artistico che si dipana dalla scelta del soggetto, allo scatto dell’immagine fino alla sua lavorazione in post-produzione. “Decido la struttura compositiva del soggetto in sede di scatto e ne rispetto l’esito. In post-produzione, invece, lascio spazio a interventi su illuminazione e colore. Sia la ricerca cromatica, sia l’uso della post-produzione – a volte minimo, a volte importante, dipende dal singolo progetto fotografico – sono strumenti della mia visione della fotografia come ‘arte pittorica’”, ha svelato D’Orta.
di Dario de Marchi
23 Maggio 2015