Con una mostra intitolata “” arriva per la prima volta a Roma il distretto artistico “Factory 798”, da ex fabbrica segreta a centro dell’arte contemporanea cinese. Le opere di 32 artisti sono esposte fino al 19 giugno nei locali di Palazzetto Mattei a Villa Celimontana nella Capitale. “Abbiamo selezionato gli artisti contemporanei più rappresentativi dell’avanguardia cinese“, ha spiegato Chen Xindong, curatore della mostra. L’obiettivo dell’iniziativa non è solo quello di “creare un ponte artistico tra Cina e Italia e di rappresentare l’evoluzione della società cinese attraverso la sensibilità di alcuni dei nostri migliori artisti, ma anche quello di raccontare un Paese alla ricerca di una nuova identità culturale”, ha detto Chen.
Dalla fotografia alla video art, dalla scultura in acciaio o fibra di vetro all’inchiostro e colori su seta alle pitture in tecnica mista all’olio e acrilico su tela, tra le opere esposte quelle di artisti cinesi molto quotati come Feng Zhengjie e Luo Brothers, i cui lavori valgono milioni di dollari. “Ho selezionato gli artisti che sapessero raccontare meglio i traumatici cambiamenti della società nel processo di globalizzazione, e le opere che mettono il corpo al centro della creazione come luogo fisico che riflette il cambiamento, e, quindi, il significato della vita”, ha aggiunto Chen.
A promuovere la mostra con il patrocinio della Città Metropolitana di Roma Capitale, il China Council for the Promotion of International Trade (CCPIT), ente governativo che sostiene lo sviluppo del commercio estero (l’equivalente dell’ICE) e RomaExpo. “L’inaugurazione della mostra ha segnato l’avvio di una collaborazione che durerà nel tempo”, ha dichiarato Armando Soldaini, amministratore delegato di RomaExpo. “Le opere evocano una quantità di elementi estetici diversi tra di loro e restituiscono l’immagine in movimento di una società in continua evoluzione” ha proseguito Soldaini rilevando che “l’allestimento curato da Chen Xindong nei locali della Società Geografica Italiana è un’opera nell’opera”. La scelta del luogo dell’esposizione è ricaduta sul Palazzetto Mattei proprio perché “emblema di uno spazio dove vengono scambiate le informazioni”.
Per molti anni “Factory 798” è stata una sorta di fucina creativa dove pittori, scultori e artisti d’ogni genere hanno trovato rifugio e ispirazione, attraendo l’attenzione di molti stranieri. Nel tempo, lo spazio espositivo è divenuto anche una vetrina commerciale, cosa che ha spinto alcuni artisti a trasferirsi altrove, ma il “Factory 798” continua a essere considerato il cuore della scena artistica cinese. L’anno scorso l’artista dissidente Ai Weiwei ha presentato al “798” una delle sue ultime creazioni concettuali, la ricostruzione della “Wang Family Ancestral Hall”.
Ex fabbrica negli anni 50-’60, fu fortemente voluta da Mao Zedong dopo il 1949 come parte del progetto di modernizzazione del paese. “Il progetto prevedeva la collaborazione dell’ex Unione Sovietica e di tutti i paesi dell’Est”, ha spiegato Chen. “Quanto avveniva all’interno delle fabbriche era un segreto di stato, da ciò deriva il nome composto da numeri. Fu solo agli inizi degli anni 2000 che gli artisti cinesi, alla ricerca di spazi dove esprimere un’arte che iniziava a conoscere una notevole espansione anche all’estero, individuarono questa fabbrica in stile Bauhaus, fantastica per le luci e i suoi 200mila metri quadrati”, ha aggiunto. Nacquero così gallerie, studi artistici, laboratori di design, ristoranti e bar, integrando arte, architettura e cultura con un ambiente di interesse storico e uno stile di vita urbano.
Tra librerie e mappamondi, incastonati sulle pareti di Palazzetto Mattei come pietre preziose su antichi tessuti, le opere allestite da Chen suscitano stupore e curiosità. Dalla scultura di Luo Brothers, “Welcome Welcome“, appoggiata su uno scaffale della prima sala (un bambino cinese in piedi su piano di bottiglie di Pepsy, con un braccio che solleva una bottiglietta e un sorriso radioso da poster di propaganda maoista che tende a un ghigno inquietante), all’opera in olio su tela “Butterfly in Love No. 20” di Feng Zhengjie dove “antico e moderno sono mescolati” ha spiegato ai giornalisti Chen Xindong. Come lo yin e lo yang, due elementi opposti ma che albergano l’uno nell’altro, l’opera di Feng “racchiude al suo interno elementi asiatici e occidentali una donna cinese vestita in modo fantasiosamente tradizionale e una occidentale, nuda. Sullo sfondo le Torri Gemelle colpite dagli aerei l’11 settembre”.
Il corpo è l’elemento dominante di questa esposizione. Chen ha voluto anche una ballerina a esibirsi nella sala centrale, diventando anch’essa opera nell’opera. La danzatrice cinese, costume minimal, balla con grazia dapprima nel silenzio e poi con la musica del Buddha Bar, mentre dietro di lei su un televisore senza audio passano a raffica immagini sparse di Pechino, come un patchwork tormentato. Su un tavolo Chen ha sistemato gli elementi più antichi della mostra: il Kunyu Tushuo, la “Spiegazione del Mappapondo” di Ferdinand Verbiest, due libri xilografici in bianco e nero di epoca Qing. Si tratta della carta basata sull’atlante che Nan Huairen, nome cinese del padre gesuita Verbiest, compose nel tredicesimo anno dell’imperatore Kangxi, nel 1674. Accanto alla carta, chiude la sala l’opera forse più introspettiva della mostra, “Thought” della giovane Ya.
di Valentino Vilone
17 Giugno 2016