Immagino Massimo Roscia al Bar Sport, la classica agorà degli italiani, dove il buon senso si fonde con il gusto della battuta, la provocazione, il pettegolezzo e la spacconata. Lui non è tutto questo, anche se ama il gusto quasi cabarettistico della battuta, ma che associa al buon gusto, al garbo, all’acutezza e all’intelligenza. È con questo mix che, nell’agorà del Bar Sport – questa volta coincide con il Sistema Paese – si mette a giocare, si fa per dire, con quello che dovrebbe essere uno dei fondamentali della nostra lingua: il congiuntivo! E dintorni.
Sì, il congiuntivo. Il modo verbale più vilipeso, trascurato e offeso, ma anche il più sovversivo: usarlo quando si deve e si può non è solo una consuetudine estetica, ma ha un significato culturale e quindi civile e politico. “(…) un sonnambulo sempre in bilico sull’esigua assicella che congiunge il dubbio alla verità”, come ci ricorda Gesualdo Bufalino in una delle sue “Cere Perse”.
“La strage dei congiuntivi“, che Massimo Roscia ha appena licenziato, è un romanzo originalissimo, un noir rutilante e ironico, divertente e paradossale, un intreccio di livelli narrativi diversi, denso di rimandi e suggestioni di borgesiana memoria.
Scritto con intento provocatorio e volutamente irritante, con grande gusto per l’iperbole, il racconto-provocazione di Massimo Roscia è il pretesto per una riflessione arguta sullo stato di salute della lingua e della cultura in Italia.
Le vittime della “strage dei congiuntivi”, infatti, sono emblemi di un diffuso e pericoloso decadimento culturale. Basta ascoltare, ad esempio, alcuni tra gli amministratori della res publica. Non a caso nel libro è proprio un assessore alla cultura il primo a essere eliminato.
In modo sarcastico e sferzante, Roscia mette a nudo le competenze linguistiche degli italiani.
Qual è la situazione nel nostro Paese? Un italiano su due non legge affatto; una famiglia su dieci non possiede nemmeno un libro in casa; il numero dei lettori in Italia è attualmente il più basso dal 2005 e sono diminuiti persino i lettori forti, quelli (pochissimi) che leggono almeno 12 libri l’anno (elaborazione su dati Istat e Nielsen). Sono 250.000 i lemmi registrati nel «Grande dizionario italiano dell’uso» diretto da Tullio De Mauro; un lessico comune costituito da circa 47.000 vocaboli; 6.500 parole del vocabolario di base e solo 2.000 quelle del nostro lessico fondamentale, ovvero quelle (cosa, roba, dare, dire, fare, mangiare…) che utilizziamo nel 90% dei nostri discorsi. La questione dunque va ben al di là del congiuntivo, ed è molto più inquietante. Un Paese che legge poco e che parla peggio non può che pensare male, se è vero che la lingua è espressione del pensiero.
Ma la provocazione è lanciata a studenti, insegnanti, ma anche a quanti, attraverso i grandi mezzi di comunicazione (a partire da radio e televisione), ci inondano di parole, affinché non demoliscano le mura della lingua italiana. Anzi, le consolidino. Ed invece l’attacco è continuo ed ormai frontale.
Se Roscia avesse sentito giorni fa a Radio Rai un autore solido (di quelli che ormai da trent’anni è in prima linea nel produrre e pontificare) parlare sferrando un omicidio continuo non solo di congiuntivi, sarebbe sicuramente svenuto.
Ecco, quindi, il motivo per cui il suo meritorio libro dovrebbe e vorrebbe essere come il primo bersagliere che, di corsa e piume al vento, ha varcato la breccia di Porta Pia, liberando finalmente l’Italia … dagli omicidi plurimi di congiuntivi.
Ma chi salverà la grammatica? Nel romanzo di Roscia ci sono cinque bizzarri personaggi, abilmente descritti, si uniscono per mettere in atto un grande disegno criminoso a difesa estrema di una lingua quotidianamente vilipesa, deturpata e ferita a morte. I congiuntivi vengono invertiti con i condizionali, i verbi intransitivi goffamente resi transitivi, i gerundi sfregiati, i sinonimi ignorati, i troncamenti confusi con le elisioni, i vocabolari abbandonati nelle cantine ammuffite. Reggenze errate, fastidiose sovrapproduzioni di avverbi, insopportabili diminutivi iperbolici. Espressioni trite e banali, frasi mangiucchiate, difettose, frammentate, incoerenti, prive di punteggiatura…
I più si mostrano indifferenti al progressivo diffondersi della “non-lingua”; altri si indignano, limitandosi a contrarre le labbra in segno di disgusto; altri ancora – Dionisio e i suoi sodali, un analista sensoriale, un bibliotecario, un dattiloscopista della polizia e un professore di letteratura sospeso dall’insegnamento a tempo indeterminato – decidono di reagire, combattere, attuare il loro salvifico piano, costi quel che costi. Perché, come dice un suo personaggio, “il congiuntivo non è morto, il congiuntivo non morirà mai”.
Ma chi è Massimo Roscia? È nato a Roma nel 1970 (qualcuno sostiene nel 1870!). Scrittore, critico enogastronomico, docente, condirettore editoriale del periodico “Il Turismo Culturale”. È autore di romanzi, saggi, ricerche, guide e vincitore di diversi premi letterari; ha esordito nel 2006 con “Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo”, originale noir sul rapporto cibo-nevrosi che ha ottenuto in pochi mesi un grande successo di pubblico e di critica. Da qualche anno insegna comunicazione, tecniche di scrittura emozionale, editing, letteratura gastronomica e marketing territoriale. Nei minuti liberi continua a scarabocchiare e a chiedersi cosa fare da grande.
Exòrma Edizioni, collana Narrativa, pagine 324 – 15,50 €
20 novembre 2014
di Dario de Marchi