L’Italia detiene uno straordinario e smisurato patrimonio culturale e paesaggistico, una autentica colonna del Made in Italy, che però non tutela e valorizza adeguatamente, confermandosi come uno dei Paesi meno generosi d’Europa nel finanziamento della cultura.
La dotazione di beni culturali, infatti, è una delle caratteristiche che descrivono universalmente il nostro Paese. Sono 49 i siti riconosciuti come “patrimonio dell’umanità” nella World Heritage List dell’Unesco: due in più rispetto all’anno scorso. Si tratta della maggiore concentrazione al mondo, sia in termini assoluti: l’Italia precede la Cina, con 45 siti, e la Spagna, con 44; sia in termini relativi: l’Italia conta 16,3 siti per 100.000 kmq, contro gli 11,4 del Regno Unito e i 10,6 della Germania. Le aree di particolare pregio, sottoposte a vincolo di tutela dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, coprono poco meno della metà del territorio nazionale (46,9%). Un dato che la dice lunga sulla vastità di questo patrimonio inestimabile, che costituisce un enorme pozzo di beni da sfruttare in termini turistici e, al tempo stesso, rappresenta un grosso problema di protezione e valorizzazione. Non è solo una questione di disponibilità di fondi finanziari ma anche di politiche. Sta di fatto che gran parte di questo tesoro, che tanto di più potrebbe attirare i turisti, viene tenuto segregato e occultato alla fruizione. Anche per proteggerlo da intrusioni, furti, atti vandalici, di cui le cronache riferiscono quasi quotidianamente (Pompei ne è un lampante esempio).
Perché “non è facile conciliare l’esigenza della protezione dei beni con quella della loro valorizzazione; come pure quella della loro conservazione con la fruibilità. Temi che non sono assolutamente antitetici e a cui le nuove tecnologie possono dare un contributo rilevante”, ha detto Gianni Letta, presidente dell’Associazione Civita, impegnata da 25 anni nella valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali italiani, aprendo i lavori del convegno “Sicurezza a regola d’Arte, una piattaforma di supervisione per la tutela e un management sostenibile dei luoghi di cultura”, promosso a piazza Venezia (a due passi dai Fori Imperiali) dal Gruppo Dab, specializzato nelle tecniche più avanzate e nei progetti di protezione, sia pubblici che privati.
L’incontro a Civita si è dimostrato un momento rilevante di riflessione e di presa di coscienza tra gli addetti ai lavori, che hanno coralmente preso atto, come ha detto Pierluigi Aloisi, presidente del Gruppo Dab, che “l’individuazione di strategie efficaci nel settore della protezione e conservazione del nostro patrimonio culturale è un presupposto fondamentale per un’opportuna valorizzazione di musei e luoghi d’arte garantendone al contempo una miglior fruizione pubblica”.
Prima dell’intervento analitico dei tecnici, sia Letta che Aloisi hanno posto in evidenza che la presenza del pubblico impone maggiori controlli, più attenzione alla tutela dei beni esposti, ma anche più risorse per assicurare la salvaguardia, che contempla la sicurezza, l’incidenza del microclima, i rischi di vandalismo, solo per elencare alcuni dei nodi da tener conto. Azzardi cui il gruppo Dab intende dare risposte mediante una piattaforma centralizzata e una supervisione capace di monitorare e integrare gli elementi che compongono la rete museale garantendo in tal modo elevati standard di sicurezza globale.
Lo stesso Letta ha sottolineato che “mettere in reale sicurezza, efficienza e fruibilità il patrimonio unico e non delocalizzabile del nostro Paese è la soluzione e la carta vincente in un momento di perdurante crisi”.
Una soluzione senza alternative, visto che Biancaneve Codacci Pisanelli, esperta di sicurezza delle strutture monumentali e capo segreteria del Sottosegretario al Ministero dei Beni Artistici e Culturali, ha riconosciuto che “purtroppo per la sicurezza dobbiamo tenere chiuse molte opere”.
Insomma, in un Paese che ha 306 musei statali nazionali e quattro grandi poli museali a Venezia, Firenze, Roma e Napoli, “investire in ricerca e innovazione nell’ambito dei beni culturali risulta centrale per garantire al nostro Paese una ripresa in termini di crescita economica e sociale. Musei, piazze, monumenti e siti archeologici che caratterizzano in modo peculiare il nostro territorio, se correttamente valorizzati e resi fruibili, possono concorrere a preservare la memoria del passato ma soprattutto diventare, a tutti gli effetti, ‘motore’ della nostra economia”.
9 ottobre 2014
di Dario de Marchi