Nei Musei Vaticani ferve molto intensa e proficua l’attività di restauro per riportare all’antico splendore stupende opere d’arte, di raro pregio. E di cui i milioni di visitatori possono apprezzarne valore estetico e artistico. Ora è la volta del restauro della Galleria dei Candelabri, appena presentato da Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, assieme a Micol Forti, curatore della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani, Francesca Persegati, responsabile del Cantiere di restauro, e P. Mark Haydu, responsabile dell’organismo americano Patrons of the Arts in the Vatican Museums.
La Galleria dei Candelabri è una porzione del lungo corpo architettonico che collega i Palazzi Pontifici e la Cappella Sistina con il Museo Pio-Clementino, cuore della collezione archeologica dei Musei Vaticani, e con l’atrio dei Quattro Cancelli, un tempo ingresso principale dei Musei. È al secondo piano del braccio occidentale del Cortile della Pigna.
Nella seconda metà del Cinquecento, quando venne edificata, si presentava come una Loggia aperta, affacciata sulla parte più elevata del Cortile del Belvedere. Nel 1785 Papa Pio VI Braschi (1775-1799) affidò agli architetti Michelangelo Simonetti e Giuseppe Camporesi il compito di trasformarla in una galleria chiusa, per meglio preservare le sculture. Il corridoio, di 70 metri, fu scandito in sei campate grazie all’inserimento di arcate sostenute da coppie di colonne doriche ed affiancate da aperture laterali, nelle quali ci sono grandi Candelabri di marmo bianco, da cui ha preso il nome.
Il pavimento di mattoni e la modesta decorazione delle volte completavano l’insieme, che rimase invariato fino a quando Papa Leone XIII Pecci (1878-1903) decise di ridecorare completamente l’intero ambiente, affidando alla decorazione pittorica il compito di sviluppare le linee programmatiche del suo pontificato.
A realizzare la vasta decorazione pittorica concorsero artisti in parte già noti all’interno delle mura vaticane per aver lavorato in diverse aree dei Palazzi Apostolici: Annibale Angelini (Perugia 1810-1884) artefice del progetto decorativo iniziale con grottesche, maschere zoomorfe, putti, rosoni e festoni; Domenico Torti (Roma 1830-1890), autore dei dipinti della seconda e terza campata; Ludovico Seitz (Roma 1844-Albano Laziale 1908) che dipinge le splendide scene della quarta campata, la più grande della Galleria, ed i monocromi della quinta e della sesta, ricoprendo il ruolo di direttore del cantiere dal 1884 alla conclusione dei lavori. I tre artisti furono affiancati da una schiera di esperti artigiani: scalpellini, marmorari, stuccatori e doratori che avevano lavorato nei maggiori cantieri sorti a Roma e in Vaticano durante gli ultimi anni del pontificato di Papa Pio IX (1846-1878) e che ci ricordano la straordinaria qualità dell’artigianato romano nel XIX secolo.
Leone XIII, papa colto, politicamente esperto ed equilibrato, stabilisce un programma pittorico centrato sull’affermazione di un ruolo non solo religioso ma anche politico e sociale, che la Chiesa doveva svolgere nella società moderna, in rapida e costante trasformazione. A partire dall’enciclica Aeternis Patris (1879) articolata intorno al pensiero di San Tommaso d’Aquino, fino alla celebre Rerum Novarum (1891), che costituì il fondamento teorico della dottrina sociale cattolica, le pitture rendono esplicita la posizione della Chiesa che non rinuncia ad affermare il proprio ruolo di guida nella scienza come nelle arti, nella giustizia sociale come nel progresso tecnico e industriale, grazie alla conduzione sicura della Fede.
Le pitture di Ludovico Seitz, sicuramente quelle qualitativamente più alte, presentano un linguaggio pittorico ricco di reminiscenze raffaellesche aggiornato da un sentimento più romantico e da un’accurata messa in scena: la perfetta ideazione dei costumi e delle acconciature, la ricca gamma cromatica, la posizione sul proscenio delle figure principali, che si stagliano nette sul fondo a monocromo grigio, denunciano la conoscenza e l’amore per una visione teatrale della composizione. Non mancano dei veri “gioielli”, come il paesaggio di una Roma ideale, alle spalle delle due eleganti personificazioni dell’Arte pagana e dell’Arte cristiana: il Colosseo e il Colle Palatino, la Basilica di San Pietro e San Giovanni in Laterano, fino al Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, sono uniti da un’atmosfera morbida e crepuscolare.
Il restauro ha richiesto oltre due anni di lavoro e ha dovuto affrontare non solo il degrado delle pitture, ma soprattutto la varietà delle mani e delle conoscenze tecniche dei vari autori e dei loro aiuti, aspetto che ha reso complesso ed affascinante poter restituire questo documento della cultura pittorica della fine del XIX secolo, alla sua piena integrità estetica. Negli ultimi dieci anni il Laboratorio Restauro Dipinti dei Musei Vaticani ha promosso numerosi studi e interventi conservativi sui cicli pittorici dell’Ottocento. Il cantiere nella Galleria dei Candelabri è stato l’ultima sfida.
Pochi numeri danno il “peso” di questa galleria: oltre 700 mq di decorazione estesa sulle volte di 6 campate, per una lunghezza di 70 metri; circa 3 anni di lavoro, con un’equipe coordinata dal maestro Francesca Persegati e composta da 6 restauratori. Appena 30 centimetri lineari di doratura che ogni restauratore riusciva a fissare in un giorno. Tre campagne di restauro precedenti a partire dal 1923, appena 35 anni dopo il termine della decorazione. Ben 300 opere scultoree protette o movimentate all’interno della Galleria.
di Dario de Marchi
12 Maggio 2016