La caduta delle restrizioni USA nei confronti di Cuba comincia a dare i suoi frutti. Se con George Bush gli Stati Uniti esportavano la democrazia in Iraq a suon di bombardamenti, con Barack Obama a Cuba sbarca infatti “House of Cards”, acclamato affresco a tinte fosche dell’interpretazione, o forse meglio della degenerazione, del concetto di cosa pubblica americana. Insomma, una brutta fotografia della “democrazia” USA.
Netflix, servizio di streaming di intrattenimento che distribuisce la premiatissima serie televisiva con Kevin Spacey, è infatti una delle prime compagnie americane a sfruttare la storica svolta nelle relazioni tra Washington e L’Avana, e ha appena cominciato ad operare anche nell’isola caraibica.
Si tratta comunque di un’iniziativa più che altro simbolica dal momento che a Cuba, dove il controllo dei media da parte del Governo rimane saldo, vi è un limitatissimo accesso ad Internet. Secondo i dati dell’ International Telecomunication Union, nel 2013 vi erano appena 5.360 abbonati alla banda larga su una popolazione di circa 11,3 milioni di persone. Senza contare che con un salario medio mensile di 20 dollari, saranno veramente pochi i cubani che potranno permettersi di pagare 7,99 dollari al mese per Netflix.
“Il cubano medio ha un accesso molto limitato ad Internet, in particolare alla banda larga, saranno pochissimi i cubani che potranno abbonarsi e vedere i film”, ha detto Sanja Kelly, che si occupa di libertà su Internet per la Freedom House. Considerando quindi che saranno principalmente esponenti dell’ elite politica e culturale dell’ Avana a poter avere accesso all’ offerta del servizio di streaming, l’operazione diventa importante proprio come veicolo di incontro tra la cultura popolare americana, nella sua versione più sofisticata, e quella del regime castrista.
Da Netflix hanno spiegato che il governo cubano non avrà il controllo sulla ‘library’ di film e serie tv che verranno offerte agli abbonati cubani. E tra le serie, oltre alla saga dello spregiudicato e spietato Francis Underwood, e della sua scalata da “whip” della Camera a presidente degli Stati Uniti, verrà offerto anche “Orange is the New Black”, serie che sta facendo discutere in America per la lettura che dà delle relazioni razziali all’interno di un carcere femminile. Insomma, amoralità politica e sperequazioni razziali ed economiche, due dei capisaldi della lettura critica fatta dall’isola comunista della società americana.
Un altro simbolo dell’evoluzione dell’apertura lo ha portato Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia. Fra i temi in agenda per la sua visita a Cuba, il presidente della Turchia affronterà tra l’altro il progetto per la costruzione di due moschee nell’isola. Erdogan, che è accompagnato da diversi ministri, incontrerà all’Avana tra gli altri il presidente Raul Castro.
Intervenendo lo scorso novembre al primo “Vertice dei leader musulmani dell’America latina” svoltosi a Istanbul, Erdogan aveva fatto riferimento alla scoperta dell’America Latina da parte di “marinai musulmani”, occasione nella quale aveva accennato alla possibilità della costruzione di una moschea nella capitale cubana.
di Alberto Ercoli
11 Febbraio 2015