Da Tlaxcala a Querétaro, la via del vino. La Redonda e Freixenet

 

19 agosto 2014

Anche oggi è l’alba. Mary mi avverte che Valentin e Rodolfo da Queretáro già mi attendono nella lobby dell’hotel Missione di San Francisco che mi ha ospitato questi giorni a Tlaxcala. Ho potuto apprezzarlo poco, stando fuori tutto il giorno, ma mi è molto piaciuto rientrarvi ogni sera. È ubicato in un antico palazzo coloniale proprio nella piazza principale di Tlaxcala, ha un sapore molto messicano, una vegetazione lussureggiante ed un’atmosfera rilassante.

Patrizia-cactusIl mio the hierbabuena, papaya e mango, e via. Mi attendono quasi 400 chilometri e così posso dormire un paio d’ore in macchina.

Giungiamo a Tequisquiapan, dove mi attende Adolfo per una visita ad un paio di importanti produttori di vino locali. Sono circa 20 ed insieme rappresentano la seconda maggior zona di produzione di vino del Messico. Una prima tappa ed uno spuntino da NeOlé, un caseificio artigianale locale che lavora circa 2.000 di latte al giorno. Deliziosi i formaggi freschi a cui sono aggiunti sapori locali, ed immancabilmente il peperoncino.

Giungiamo poi a La Redonda, una cantina fondata negli anni ’70 dall’enologo italiano Vittorio Bortoluz. In 20 anni, passione, cura e dedizione hanno reso i Vigneti La Redonda una delle più affermate cantine del Messico. Inizialmente si producevano solo uve che venivano poi vinificate da altre primarie cantine locali, e poi, dal 2006 Claudio Bortoluz Orlandi, figlio di Vittorio, attuale CEO di La Redonda, prende la decisione di sviluppare un proprio marchio. Una scelta lungimirante e di successo.

Oggi La Redonda conta più di 20 etichette ed alcuni vini sono stati premiati. Si producono circa 1 milione di bottiglie l’anno e vi sono tre linee di sierra-lunaprodotto. La Redonda vini giovani e ben strutturati. Vini eleganti Orlandi dedicati a palati che amano consumare il vino come accompagnamento al cibo. E poi Sierra Gorda, tre etichette, con vini da invecchiamento, eleganti con struttura complessa.

La posizione geografica è eccellente, vicina a Città del Messico, ben si presta al turismo enogastronomico, sempre più apprezzato anche in Messico. Vi è la festa della vendemmia dove le fanciulle pressano le uve con i piedi, come nel passato. E poi l’Orlandi FOMA, un festival artistico che coniuga l’arte con il vino, spettacoli musicali, pittura, letteratura, teatro, ed ovviamente natura. Degusto alcuni dei vini, notevoli, dove si sente l’originaria mano italiana. Delizioso il Sierra Gorda 2010, cabernet sauvignon, merlot, malbec, rosso intenso, toni violacei, fruttato, sa di fragola e ciliegia.

Lascio La Redonda ed Adolfo mi spiega che i messicani apprezzano più i rossi dei bianchi, ed in particolare amano i vini dolci, anche se in realtà il vino è tuttora abitudine poco diffusa. Il vino italiano è poco presente, qui vincono americani, sudamericani, spagnoli e francesi.

Raggiungiamo la Cantina Freixenet, emanazione messicana della casa madre spagnola Freixenet Group, che dal già 1914 ha gettato le basi per la produzione di spumante cava fatta con il metodo tradizionale dello champagne francese. Come parte del processo di internazionalizzazione, il Gruppo Freixenet ha deciso di istituire un centro di produzione, distribuzione e commercializzazione nelle Americhe.

Dopo un esame approfondito delle regioni vinicole, hanno selezionato l’area di Queretaro, in Messico, come un terreno adatto per la coltivazione della vite. Nel 1978 il terreno è stato acquistato “tabella car” nel comune di Ezequiel Montes, dove hanno stabilito la Finca Doña Dolores, in onore del fondatore del marchio Freixenet. Più tardi, nel 1984 la prima produzione di vini ottenuti con il tag Vivé Spumante in camera freixenetspumante. Oggi produce oltre 2 milioni di spumante, che esporta pure all’estero. É molto bella la cantina sotterranea profonda 25 metri.

Freixenet ha due linee di prodotti: vini spumanti, che sono l’80% della produzione totale, e il restante 20% sono vini fermi. Anche qui un grande festival che quest’anno ha contato 15 mila presenze il soli 3 giorni. Degusto alcuni spumanti, non sono affatto male, soprattutto i secchi. I prezzi sono estremamente competitivi.

Una pizza con Adolfo a Le Querce, e poi tuna di nopale, tipo fico d’India, che Rodolfo acquista sulla piazza.

Già si sono fatte le 4, raggiungiamo il Grand Hotel Querétaro, bellissimo, costruito nel XIX secolo su un terreno che faceva parte del Convento Grande de San Francisco durante il viceregno. Nel 1985 fu venduto, restaurato e convertito in un centro commerciale ed ora in Gran Hotel Queretaro, È stato testimone di importanti tappe della storia del Messico e si percepisce in ogni angolo.

Il tempo di una doccia, e via in tram, a zonzo per la città.

grand-hotel-queretaroAlejandra, deliziosa e divertente, ci narra le vicissitudini della città. Un milione di abitanti, Querétaro, è considerata la culla dell’Indipendenza del Messico. La città fu fondata il 25 luglio 1531 per mano del conquistador spagnolo Hernán Pérez de Bocanegra y Córdoba e dell’indio Otomí Conín, noto col nome di Fernando de Tapia. Stando alla leggenda narrata da frate Isidro Félix de Espinoza, i resistenti di etnia Otomi e Chichimeca sarebbero stati sul punto di sconfiggere gli spagnoli di Bocanegra e Tapia quando il sole sarebbe stato oscurato da una improvvisa eclisse totale e il santo patrono di Spagna, Santiago, sarebbe apparso in sella ad un cavallo bianco con una croce rosa, terrorizzando l’esercito indigeno e inducendolo alla resa.

Tra il 1726 e il 1738 vi fu costruito un acquedotto di 1280 metri di lunghezza e 23 metri di altezza e con ben 75 archi, parte dei quali attraversano la città con un effetto panoramico. acquedotto-queretaroSembra fosse un regalo fatta a Suor Marcela dal Marchese de la Villa del Villar del Aguila, perdutamente innamorato di lei. Un amore proibito, ai primordi della telenovela.

All’inizio del XVIII secolo furono realizzati la chiesa di San Francesco, cattedrale cittadina fino al XX secolo, e l’attuale Museo de Arte, originariamente adibito a monastero agostiniano, ritenuto uno dei maggiori monumenti barocchi dell’intero paese. E poi la rivoluzione.

A Queretaro, il 13 settembre 1810 è fatto prigioniero Epigmenio González, che aveva un arsenale di armi destinate per l’insurrezione. Il 15 sarà arrestato il sindaco di Querétaro Don Miguel conventoDomínguez e la moglie, Josefa Ortiz de Dominguez. Pare fu lei ad inviare un messaggero al capitano Ignacio Allende e Miguel Hidalgo, un membro della sua milizia a cavallo in San Miguel el Grande, oggi a San Miguel de Allende di comunicargli di iniziare la guerra d’indipendenza del Messico poiché il complotto era stato scoperto.

Nel 1867 la città fu teatro dell’ultima resistenza e dell’esecuzione dell’imperatore Massimiliano I del Messico. Dopo l’abbandono del Messico da parte di Napoleone III, nel febbraio 1867 Massimiliano vi si era infatti ritirato sostenendo per alcune settimane l’assedio delle forze di Benito Juárez. L’11 maggio Massimiliano tentò una sortita attraverso le linee nemiche, ma fu catturato, sottoposto al giudizio di una corte marziale e condannato a morte. La sentenza fu eseguita il 19 giugno 1867; insieme a Massimiliano furono fucilati i generali Miguel Miramón e Tomás Mejía. Nel 1917 la pacificazione e la promulgazione della Costituzione Politica del Messico.

Io è Rodolfo lasciamo il tram, una passeggiata a Plaza de Armas y de Endependencia, dove campeggia una spettacolare fontana coloniale nel suo piedistallo, al centro la statua del Marchese de la Villa del Villar del Aguila, benefattore della città e costruttore dell’acquedotto. Questa piazza èplaza-de-armas considerato tra i più belli esempi di XVII secolo, che ancora esistono in Hipanoamérica. Nella piazza i palazzi di governo della città ed anche la residenza del governatore. Casa e bottega insomma, come piace a me.

Inizia a diluviare, Rodolfo mi accompagna da Chucho el Roto, squisito ristorante sulla piazza.

Non ho fame, però non so rinunciare al guacamole.

Piove sempre di più, mi faccio regalare un ombrellino ed a piedi raggiungo il Grand Hotel Querétaro. Già mi sento a casa, che meraviglia!

(di Patrizia Marin)