L’Estremo Oriente è più vicino, ma non ancora per l’Italia. Il nostro Paese è presente sui mercati economici di Cina, Giappone, Corea e nei Paesi Asean, ma ancora al di sotto delle potenzialità del Made in Italy. È quanto emerso al 2° workshop “Eurasia”, a Roma, organizzato da Unindustria, AGI, Regione Lazio e con il patrocinio del ministero degli Esteri.
“Pur rappresentando il 44% del Pil, l’area Asia Pacifico costituisce solo il 10% del nostro export”, ha sottolineato Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Affari Esteri. “Creare maggiori collegamenti tra le due aree riveste innanzitutto un significato fisico con reti, voli, tratte, ma è anche uno strumento per promuovere sviluppo sociale, democratico, favorire il turismo, scambi di risorse e know how. In questa particolare declinazione si inseriscono importanti iniziative promosse da diversi Paesi asiatici, la One Belt One Road, la Via della Seta, e la costituzione dell’Aiib, la banca di investimento creata dalla Cina alla quale anche l’Italia ha deciso di aderire insieme ad altri 27 membri dell’Europa”, ha aggiunto.
Della Vedova ha proseguito: “Vogliamo favorire lo sviluppo dei paesi asiatici anche per contribuire alla stabilità della regione e contenere i contenziosi che minacciano la pace. Una cornice che favorisce un sano scambio commerciale. La Cina resta ancora uno dei principali potenziali di crescita per l’economia italiana e il Made in Italy“.
Per Riccardo Monti, presidente dell’ICE, “Pechino è il grande vincitore del processo di globalizzazione“. Ma il gigante asiatico è soprattutto “un Paese che lavora sulla qualità: innumerevoli le opportunità per l’Italia: dal settore farmaceutico agli articoli sanitari, dalla tecnologia all’automotive, fino all’energia pulita, passando per i beni di consumo di una società in piena fase di urbanizzazione”. A tale proposito ha sottolineato che “molti sono ancora i punti deboli e la connectivity è un’area in cui siamo ancora estremamente fragili. Pochi i voli verso Thailandia e Paesi del Sudest asiatico, quindi poco turismo. Bassa inoltre la cooperazione tra università”. Va peggio nel settore alimentare: “Siamo debolissimi in materia di distribuzione di questi prodotti”, ha insistito.
Lo dimostrano i dati dell’import cinese di prodotti agro-alimentari illustrati da Yu Lu, vice presidente della Camera di Commercio cinese per l’import/export di generi alimentari. “Nel 2014 le importazioni agricole cinesi hanno toccato i 121,5 miliardi con aumenti del 3% anno su anno”. Ma tra i primi 10 paesi dai quali Pechino importa, solo la Francia fa parte dell’UE, con il 3% di beni diretti a Pechino. Stessa situazione per le importazioni alimentari che nel 2014 si sono attestate a 51,41 % con un +5% anno su anno. E la Francia è ancora l’unico paese europeo a scalare la classifica. L’Italia è solo 13ma, con un volume di scambio di soli 550 milioni l’anno scorso e con aumento 5,5% rispetto al 2013.
L’amb. Ferdinando Nelli Feroci, presidente di Simest e dello IAI Istituto Affari Internazionali, ha annotato che “la crescita economica pro-capite in questa parte del mondo è impressionante”. Decisivi in questo quadro sono gli accordi di libero scambio tra i Paesi Ue e i Paesi asiatici. “Il rapporto costi-benefico è altissimo. Si tratta di uno strumento in grado di favorire e stimolare l’internazionalizzazione delle piccole medie imprese proiettandole su un piano globale. Ma dobbiamo essere consapevoli che questi accordi sono difficili da trattare per la necessità di trovare compromesso che vada bene ad entrambe le parti”. Per Nelli Feroci “nemmeno in Asean, area di grande dinamismo, il Made in Italy è ancora presente come dovrebbe. Arrancano pure gli accordi di libero scambio per i quali l’UE è ancora in fase esplorativa”.
Quanto al Giappone, è una destinazione fondamentale per il commercio italiano. Dopo anni di stagnazione, Tokyo si sta risollevando “grazie a una serie di misure adottate dal premier Shinzo Abe, che vanno sotto il nome di Abenomics”, ha detto Tetsuro Fukunaga, direttore esecutivo del centro per gli investimenti e il commercio JMC, ricordando che “i giapponesi amano cibo e indumenti italiani, il Made in Italy. La richiesta è forte e vorremmo riuscire a sfruttare la domanda per una collaborazione sul mercato, che è ancora molto redditizio e resta il secondo per consumatori. Ci stiamo concentrando inoltre sulla promozione di prodotti non Giappone. Vogliamo, inoltre, cercare di attrarre investimenti anche nel campo agricolo, fiscale, dei big data. Abbiamo sfide in comune con l’Italia”. Proprio pochi giorni fa Abe ha incontrato il premier Renzi al G7 e hanno deciso di aumentare la collaborazione sulle barriere tariffarie.
di Dario de Marchi
23 Giugno 2015