Una nuova rotta della compagnia di bandiera finlandese Finnair permette dal 7 maggio di raggiungere il Giappone e precisamente l’isola di Kyushu, la terza in ordine di grandezza tra le quattro maggiori isole dell’arcipelago, direttamente dall’Europa, senza scali intermedi.
Ed è grazie a un viaggio a Kyshu, a Fukuoka, in una delle regioni meno visitate dal turismo di massa, che tra numerose meraviglie storiche, artistiche, culturali e soprattutto gastronomiche scopriamo l’azienda Wakatakeya, che da oltre trecento anni produce un sake d’eccellenza nella piccola città di Tanushimaru, del distretto di Ukiha.
Nello stabilimento, costituito da vari edifici dall’architettura tradizionale giapponese, si producono circa 70.000 bottiglie all’anno di sakè, delle quali un migliaio sono esportate in Francia e Germania, mercati in cui l’attenzione per la tradizionale bevanda giapponese è cresciuta in maniera rilevante negli ultimi anni.
Ottenuto mediante la fermentazione del riso, rigorosamente a chicchi larghi ricchi di amido e carboidrati nel cuore centrale e poveri di grassi e proteine, il sakè ha origine in Cina nel 5.000 A.C., epoca a cui risale la scoperta di quasi tutte le bevande alcoliche fermentate. Ma è in Giappone, con le prime migrazioni e grazie a un lungo processo di perfezionamento, che la produzione del sakè si è affinata, tanto da diventare la bevanda ufficiale del Palazzo Imperiale di Kyoto, intorno al VII secolo A.C.
Il sakè che oggi conosciamo tuttavia si diffonde in tutta la società giapponese solo verso la fine del 1700, grazie alla scomparsa dei vecchi monopoli, mentre per anni era riservato esclusivamente alle elites nobiliari e agli ambienti religiosi. È proprio in questo contesto storico e sociale che Hayashida Hironoru ha fondato l’azienda Wakatakeya, che letteralmente vuol dire “giovane bamboo”.
All’intero processo produttivo del sakè, che va dalla piantagione alla coltivazione, dalla semina al raccolto, dalla fermentazione all’imbottigliamento, partecipano oggi in azienda circa un centinaio di persone, oltre a numerose collaborazioni con produttori locali. Dopo la semina del riso a maggio, vi è la coltura delle piante che dura circa cinque mesi, mentre la produzione di sakè inizia a gennaio e termina a marzo. Infatti, il clima freddo e umido dell’inverno risulta particolarmente idoneo allo sviluppo di muffe e lieviti, fondamentali per la fermentazione.
Ed è scoprendo una realtà come quella di Wakatakeya che ci si rende conto di quanti elementi siano necessari per la produzione di un prodotto di eccellenza come il sakè giapponese. Non solo le risorse naturali e ambientali, come in questo caso le acque ricche di minerali del fiume Chikugo che scorre dalle vicine lussuggeranti montagne Mino oppure la qualità di riso utilizzata – nell’azienda si utilizza la pregiatissima qualità Yamada Nishiki, prodotta in collaborazione con un vecchio agricoltore locale. Sono soprattutto i saperi e le tecniche di produzione tramandati di generazione in generazione, la passione e la dedizione delle cura umane, la creatività e allo stesso tempo l’attenzione e il mantenimento della tradizione a rendere il sakè un prodotto unico al mondo, che sta conquistando sempre più i mercati internazionali.
di Marco Buemi
29 Giugno 2016