Accanto alla buona tenuta all’estero delle grandi imprese, aumenta la presenza italiana in Nord America e cresce il coinvolgimento delle nostre Piccole Medie Imprese (PMI) nei processi di internazionalizzazione produttiva. Questo è quanto è emerso nel corso della presentazione del Rapporto “Italia multinazionale 2014” dell’ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane.
Il Rapporto, che analizza il quadro e le tendenze dell’internazionalizzazione delle imprese italiane tramite investimenti diretti esteri (IDE), è stato presentato dal prof. Sergio Mariotti, del Politecnico di Milano, e dal prof. Marco Mutinelli, dell’Università di Brescia. Sono intervenuti ai lavori Sandro de Poli, presidente e amministratore delegato di General Electric Italia e, per l’Agenzia ICE, il presidente Riccardo Maria Monti, Roberto Luongo e Andrea Napoletano.
La ricerca si avvale della banca dati Reprint che censisce sia le imprese multinazionali (IMN) a base italiana, attive con proprie consociate e joint venture all’estero, sia le imprese italiane partecipate da IMN a base estera, con riferimento a tutto il sistema industriale e ai servizi reali che ne supportano l’attività, giovandosi di un metodo consolidato di ricerca e dell’esperienza accumulata in ormai trenta anni di ininterrotta osservazione dei processi di internazionalizzazione delle imprese italiane.
Nel rapporto vengono delineate le principali tendenze degli IDE nel mondo, con particolare attenzione agli effetti della crisi, con approfondimenti riguardanti i nuovi progetti internazionali di investimento, volti alla creazione, all’ampliamento e/o alla co-localizzazione di attività industriali e terziarie, con particolare attenzione alle tendenze emerse in Europa occidentale.
In questo scenario viene collocata la posizione dell’Italia che, nonostante una evidente ripresa dei flussi di IDE in uscita e in entrata registrata a partire dal 2013 mantiene un grado di internazionalizzazione sia attiva che passiva significativamente inferiore a quello dei suoi maggiori partner europei.
Per quanto riguarda l’analisi dell’attività multinazionale delle imprese a base italiana, alla fine del 2013, la banca dati Reprint censisce 11.325 imprese italiane con partecipazioni in imprese estere; le imprese partecipate all’estero sono 30.513, con 1.537.918 dipendenti e un fatturato di 565,3 miliardi di euro. Le analisi svolte evidenziano come il modello di crescita delle imprese italiane all’estero mantenga una stretta coerenza con i tratti tipici del Made in Italy e della struttura industriale del Paese: un intenso impegno a rafforzare la presenza commerciale soprattutto nei paesi ricchi, cui si accompagnano processi di delocalizzazione per lo più verso aree “vicine” in senso geopolitico, culturale e logistico.
Tra i segnali positivi vanno segnalati l’aumento della presenza italiana in Nord America e il crescente coinvolgimento delle nostre PMI nei processi di internazionalizzazione produttiva, cui si accompagna una buona tenuta della presenza all’estero delle grandi imprese. Sullo sfondo, tuttavia, il persistere di un gap di globalità, soprattutto in riferimento all’area del Pacifico, nuovo epicentro dell’economia mondiale, e la modesta propensione multinazionale di molti settori terziari, da un lato, e delle imprese del Mezzogiorno, dall’altro.
Lo studio analizza inoltre la presenza in Italia delle IMN estere. Le 9.367 imprese italiane a partecipazione estera censite dalla banca dati Reprint alla fine del 2013 occupano 915.906 dipendenti e hanno un giro d’affari di di 497,6 miliardi di euro, con un valore aggiunto pari a 106,8 miliardi di euro. L’analisi settoriale mostra come, nonostante una serie di acquisizioni di un certo rilievo, il settore manifatturiero, pur rimanendo quello di maggiore insediamento estero, mostri negli anni Duemila un preoccupante cedimento nella sua consistenza economica (-22,9% i dipendenti delle imprese partecipate tra il 2000 e il 2013), mentre appare in crescita la presenza estera nel terziario. Si registra inoltre un preoccupante calo degli investimenti greenfield e di ampliamento delle attività preesistenti, che indubbiamente costituiscono la componente degli IDE più “espansiva” per la base economica nazionale.
A fronte della persistente bassa attrattività internazionale del Paese, il Rapporto dedica un ampio spazio al tema specifico delle politiche di attrazione degli IDE. Le ragioni di questo approfondimento sono da ricercare anche nell’importante impulso che le istituzioni del Paese stanno finalmente dando all’adozione di nuove strutture, strumenti e politiche, volti a migliorare l’attrattività dell’Italia in un contesto internazionale sempre più aperto e competitivo. Questo tema è stato affrontato dapprima in chiave di politiche generali da costruire attorno ai fattori strategici che possono migliorare la qualità dell’offerta insediativa del Paese, per poi lasciare spazio ad alcune linee guida per l’implementazione di una specifica politica di attrazione, con riguardo sia al campo d’azione in cui si collocano i possibili interventi, sia alle leve strategiche da utilizzare. Lo studio analizza infine l’esperienza delle agenzie di promozione degli IDE, attive in Europa e in altre parti del mondo, con riguardo alle loro strategie e forme organizzative.
La ricerca, curata dall’Ufficio per la pianificazione strategica dell’Agenzia ICE, è stata realizzata da R&P con la collaborazione del Politecnico di Milano e pubblicata in un volume nella collana della Fondazione Manlio Masi, edita da Rubbettino.
di Dario de Marchi
15 Maggio 2015