Continua l’impegno di ricercatori e archeologi italiani nel mondo per riportare alla luce preziosi retaggi storici e artistici. Una scoperta importantissima, frutto di un lungo lavoro certosino, infatti, ha portato alla luce in Turchia l’edificio delle udienze, la prima testimonianza di potere laico nel Vicino Oriente risalente al IV millennio a.C. Un ritrovamento straordinario targato Italia. A parlarne è Marcella Frangipane, archeologa dell’Università La Sapienza, direttrice della missione italiana ad Arslantepe, nella piana di Malatya, nella Turchia orientale.
L’archeologa, alla guida di una trentina di persone tra cui specialisti provenienti da atenei europei e americani, insieme a colleghi turchi come il vice direttore degli scavi, ha raccontato come si siano fatti strada tra i vari strati che compongono la ‘collina dei leoni’, alta 30 metri, che racchiude una “sequenza di abitati che vanno dal V millennio a.C. fino all’età bizantina”.
È proprio qui che è stato portato alla luce “un grande complesso monumentale di mattoni crudi, risalente al IV millennio a.C., in uno stato di conservazione eccezionale”. Come ha detto Frangipane, “a causa di un incendio, infatti, i crolli hanno fatto sì che la terra riempisse le stanze, sigillando quello che c’era all’interno, compresi i muri conservati per un altezza di almeno 2 metri, con gli intonaci bianchi e in alcuni punti dipinti”. L’area è da anni oggetto di studio da parte della missione italiana, che vi aveva già rinvenuto “due piccoli templi e un complesso di magazzini pieni di vasi, un edificio di rappresentanza con armi in metallo e una grande porta monumentale”.
L’anno scorso, la nuova scoperta raccontata dalla direttrice della missione. “Seguendo un corridoio che andava verso il centro della collina, abbiamo trovato una sorpresa, una corte grandissima, di fronte a un edificio imponente con muri di quasi 2 metri di spessore. Non un tempio”, ha sottolineato Frangipane, “ma un palazzo con una stanza stretta e lunga e un podio al centro con legno bruciato di ginepro sopra e piccole piattaforme disposte in fila di fronte”.
L’archeologa, unica donna italiana a far parte della National Academy of Sciences americana, benché cauta, si rende conto della portata della novità. E confermano l’intuizione pure i confronti con opere simili in Mesopotamia, che presentano “analogie fortissime”, ma sono posteriori, assieme ai pareri di altri studiosi. “Si tratta del luogo dove il re riceveva il pubblico, dava udienza. Quel legno era un trono e la piattaforma dove si trova, grazie a una prospettiva studiata, si vede fin dall’ingresso del Palazzo, percorrendo il corridoio”, ha detto ancora ribadendo che “non ho più dubbi, è il primo esempio in assoluto di palazzo del Vicino Oriente: dimostrazione di un processo importantissimo di laicizzazione, indica un potere diretto che riceve il pubblico senza mediazioni religiose”. Un ritrovamento così eccezionale da essere inserito nella lista provvisoria del Patrimonio Unesco e che verrà presentato giovedì 19 alla Sapienza alla presenza dell’ambasciatore turco, Aydin Adnan Sezgin.
Ma la missione italiana non si ferma e ha già chiare le linee guida per le prossime campagne di scavi. Due le direzioni, ha spiegato l’archeologa: “Da una parte si cercherà di capire come nasce questo processo, la natura di questo sviluppo, andando quindi a indagare la fase precedente; dall’altra invece verrà estesa la ricerca ai livelli superiori, lì dove in passato c’è stata anche una capitale neo-ittita, di cui però non si conosce molto perché gli scavi sono stati effettuati decenni fa, senza l’ausilio delle moderne tecnologie. Indagheremo quindi le fasi pre e post, allargando lo scavo verso nord”.
I lavori vanno di pari passo con la promozione del sito, aperto al pubblico nel 2011, non solo tra gli stranieri ma anche all’interno dei confini nazionali. In collaborazione con l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, è stata messa in atto una vasta operazione di conservazione e protezione del complesso architettonico, con la costruzione anche di una copertura, finanziata dalla provincia di Malatya.
Inoltre Francesca Balossi Restelli, ricercatrice della Sapienza e membro della missione archeologica, l’anno scorso ha portato avanti un progetto in collaborazione con le autorità locali e il sostegno dell’UNDP per “diffondere la conoscenza e coscienza del sito nella regione. Sono state fatte lezioni agli insegnanti delle scuole e alle guide turistiche, e centinaia di alunni sono stati portati in visita, in modo da rendere tutti il più partecipi possibili”.
La risposta positiva si è già cominciata a vedere, come sostiene Frangipane: “Le persone della regione ci tengono molto, sentono il sito come loro, lo percepiscono come una cosa condivisa” e i visitatori turchi non sono mancati. Diversa la situazione con gli stranieri: “Lavorando nel sito nei mesi estivi, abbiamo notato che mentre due o tre anni fa i turisti venivano anche con i pullman, l’anno scorso praticamente non ce ne sono stati”. Un risvolto del clima attuale che risente delle incertezze generali sul fronte della sicurezza.
di Leonzio Nocente
18 Maggio 2016