Parafrasando un noto film, la Cina è vicina. Ma l’Italia deve colmare il divario della scarsa conoscenza che ha ancora di questo immenso Paese, una superpotenza economica, per poter cogliere le vasta opportunità che esso offre al Made in Italy e all’apprezzamento di cui gode. Proprio mentre ricorre il 45.mo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, il Festival della Diplomazia ha promosso un utile confronto a menti aperte nella sede della rappresentanza diplomatica della Repubblica Popolare Cinese a Roma, dall’eloquente titolo “Going Global: Cina e Italia insieme nei mercati internazionali”.
L’ambasciatore Li Ruiyu ha tratteggiato un quadro più che positivo delle relazioni bilaterali, con un interscambio che lo scorso anno è stato di ben 48 miliardi di dollari USA e con 4 miliardi di investimenti cinesi diretti nel Belpaese, una parte molto significativa di quelli che lo Stato orientale fa nel mondo. Ma il diplomatico nel suo articolato intervento ha battuto spesso sul tasto che “operando assieme i due Paesi possono fare molto di più, a cominciare dalle operazioni nei Paesi Terzi”. Insomma, “proprio partendo dalla piattaforma di Expo Milano 2015, dove sono state ben 20 le delegazioni cinesi in visita”, ha insistito l’ambasciatore Li Ruiyu, “si può aumentare l’interscambio italo-cinese. E noi abbiamo una grande volontà di rafforzare la nostra collaborazione nei mercati terzi”.
Ma la strada non è così spianata, a partire da superati luoghi comuni che esistono nella conoscenza del nostro Paese. L’ambasciatore Massimo Iannucci, che per anni ha retto la nostra sede diplomatica a Pechino, ha infatti rilevato che “nonostante le istituzioni dei due Stati stiano facendo un lavoro meraviglioso e straordinario, le relazioni economiche sono rimaste immutate. Se nel 2010 l’interscambio era di 30 miliardi di dollari USA, nel 2014 si è arrivati a 48 miliardi, lontani dall’obiettivo previsto degli 80 miliardi”.
Ad esempio, lo sbilanciamento è rimasto immutato di 1 a 2 del 2010, a favore della Cina. La soluzione secondo il diplomatico italiano sta in “una nostra più approfondita e migliore conoscenza del ‘mondo cinese’. I cinesi ci conoscono molto meglio di come noi conosciamo loro. Nei nostri libri di storia non si parla di Cina”, ha aggiunto ricordando che “Marco Polo e padre Matteo Ricci sono gli unici stranieri effigiati nel Mausoleo del Terzo Millennio, eretto a Pechino. Ma i nostri studenti non sanno chi è Matteo Ricci. E noi continuiamo a mercanteggiare con la Cina perdendo tante occasioni e non utilizziamo le molte opportunità che ci offre questo grande alleato orientale”. Insomma, a parte i luoghi comuni, “non conosciamo il nostro interlocutore”, ha ribadito Iannucci.
E che le potenzialità siano enormi lo ha detto anche Luigi Gambardella, presidente a Bruxelles della piattaforma digitale “China-EU”, molto attiva sul fronte dell’Innovation Communication Technologies. Da qui la sua proposta di creare in Italia il più grande polo di ricerca al mondo del 5G, dove la Cina, che conta tre dei primi maggiori operatori delle telecomunicazioni al mondo, può svolgere un ruolo rilevante. Ed ancora, ha suggerito, “l’Italia potrebbe affiancare la Cina nelle Smart Cities, settore a cui il Governo di Pechino ha destinato 200 miliardi di dollari di investimenti. Come pure rinsaldare la cooperazione bilaterale nelle start up tecnologiche. Si tratta di abbinare design e tecnologie, una strada che Italia e Cina possono percorrere insieme”, ha concluso Gambardella.
Una finestra sulle ampie opportunità che si possono perseguire assieme l’ha aperta il prof. Bai Junyl, responsabile sviluppo e strategie della Camera di Commercio Italo-Cinese. E questa possibilità è dimostrata dall’interesse italiano verso la Cina. “In Italia ci sono oltre 300 licei ove si insegna la lingue cinese”, ha ricordato. Del resto, ha detto ancora, “l’Italia si pone solo dopo l’Inghilterra per gli investimenti cinesi in Europa. addirittura nei primi sei mesi di quest’anno il Belpaese ha attratto il maggior numero di investimenti cinesi nel Vecchio Continente ”:
Insomma, “è il momento giusto per i due Paesi”. Ma l’esperto cinese, parlando in un ottimo italiano, anche invitato “a non vedere in modo negativo gli interventi del capitale cinese in Italia. Questi investimenti sono estremamente incoraggianti e rispettosi delle risorse locali. Si creano strategie positive“, ha aggiunto sottolineando che “la Cina, ad esempio, nel manifatturiero ha necessità di incrementare la qualità perché la concorrenza nel mondo non la si fa più solo nel prezzo. E la sinergia i due Stati possono attuarla anche nella capacità di acquistare le materie prime”.
L’esponente della Camera di Commercio Italo-Cinese ha inoltre ricordato che “le aziende cinesi che investono in Italia hanno bisogno di informazioni e la reciproca conoscenza è fondamentale”. Anche se, ha detto ancora Bai Junyl, “in Italia ci sono 70 mila regolamenti da rispettare, troppi, tanto che anche gli italiani faticano a conoscerli. Inoltre il management cinese che viene a lavorare nel Belpaese ha problemi quotidiani da affrontare e sono spesso complessi, dai permessi alla patente. E questa complessità può disincentivare lo sviluppo di migliori relazioni”, ha ammonito.
Insomma, al di là delle dichiarazioni politiche e delle intenzioni, ci sono spazi enormi perché la Cina sia non solo più vicina all’Italia, ma possa diventare davvero un partner di grande rilievo per sviluppare l’economia italiana.
di Dario de Marchi
29 Ottobre 2015