Per capire il Messico e la sua anima si deve percorrere un cammino tra gli aspetti più popolari e rappresentativi dell’essere messicano. Uno di questi, che ho subito sentito come un fluire intenso di emozioni, è la Lucha Libre (lotta libera), traduzione riduttiva e che poco descrive l’essenza di quella che è stata poi tradotta come Wrestling, che è più show con i tipici personaggi dello spettacolo americano.
Eccomi a raccontare e farvi partecipi delle emozioni che ho provato andando a una serata di Lucha, accompagnato da due ragazzi, figli di esponenti dell’alta borghesia messicana, ma che non avevano assolutamente un aspetto tranquillizzante, anzi sembravano delle black Panther, o almeno si vestivano come le gang del Bronx di New York.
Una sera ero libero da impegni di lavoro, che mi vendevano a Città del Messico per alcuni reportage, e ho avuto la fortuna che i due guys mi portassero, su una Ford Fiesta sgangherata, in un quartiere molto popolare, anzi direi quasi border line, fuori centro, il che significa circa 3/4 d’ora di viaggio, conclusosi in una stradina stracolma di gente, dove non si capiva bene in che luogo fossi capitato, ero stretto come una sardina, tra gente eterogenea…capita spesso nella Ciudad.
Mi ero informato su questa lotta molto popolare in Messico e il posto non mi convinceva per nulla. Dovete sapere che esiste anche una Lucha Libre molto cool, con campioni adorati quasi come gli eroi greci della nostra mitologia.
Le informazioni che avevo, parlando con i messicani, m’indicavano che Il posto adatto dove capire esattamente il fenomeno Lucha Libre fosse l’Arena Mexico o come la chiamano i messicani, la Catedral de la Lucha. Situata in una delle zone più centrali della città, dove ogni weekend, si tengono diversi incontri di lotta.
La Lotta Libera Messicana predilige un tipo di combattimento molto più scenografico, cosa che non capitò nella piccola arena, dove ero finito con le mie due guide indigene.
Il luogo non era per nulla chic. Percepii subito che mi stavo immergendo nella vera Lucha, nella lotta come simbolo di supremazia e di mistero ludico, condivisa in un’arena dove si stava gomito a gomito con i messicani dei quartieri popolari e a due passi dal ring.
I luchadores messicani che sono “adorati come dei”, dai loro sostenitori, hanno la particolarità di eseguire tecniche di combattimento aeree al limite del credibile, riuscendo però a sorprendere lo spettatore con vere e proprie acrobazie in caduta. Particolarità di questi lottatori sono le loro maschere, multicolori e al limite del kitch, spesso sono l’oggetto dei desideri del pubblico e ovviamente degli avversari. Pare infatti che non ci sia nulla di peggio che farsi “smascherare” dal proprio avversario.
Ci sono faide che continuano per anni tra diversi lottatori solo per poter riottenere la propria maschera. Inoltre i luchadores si dividono tra buoni e cattivi, o meglio tra coloro che seguono le regole della lucha, i tecnicos, e coloro che invece sono pronti a ricorrere a ogni mezzo pur di vincere, ovvero i rudos, cosa poi ripresa teatralmente in America e in Giappone, ma è in Messico che pare sia nata e poi si sia diffusa. In fila in mezzo alla moltitudine di cui vi dicevo, mi sorprese che vi fossero molte famiglie con i loro piccoli e giovani coppie.
Entrati nell’arena rimasi stupito dall’atmosfera e dall’aria che si respirava, che mi ricordava le nostre vecchie arene dei circhi di paese. L’atmosfera mi fece tornare agli anni in cui era una gran festa, quando nel quartiere ormai in crescita demografica ma anche immobiliare,circondato ancora dalla campagna arrivavano i saltimbanchi che sfilavano esibendo i loro costumi, dimostrando la loro abilità con evoluzioni sorprendenti.
Entrato con i miei accompagnatori prendemmo subito posto nella prima fila.Tutto intorno a me i veri mexicanos,alcuni con i visi scolpiti dal sole e dalla somatica dell’antica razza, altri più cool ma inconfondibilmente legati a questo popolo straordinario.
Alcuni vestivano le maschere dei loro eroi come El Santo, Blue Demon o Huracan Ramirez.
Spirit ElSanto insieme a Blue Demon e Mil Máscaras è considerato uno dei lottatori mascherati messicani più celebri e rappresentativi di tutti i tempi e spesso si è parlato di lui come di una delle “più grandi leggende dello sport messicano”.
La sua carriera nel mondo della Lucha Libre è durata quasi cinquant’anni, durante i quali diventò una sorta di eroe popolare e simbolo di giustizia grazie anche alle sue apparizioni su albi a fumetti e alla partecipazione a numerosi film. Si ritiene che El Santo sia stato determinante per rendere popolare il wrestling in Messico allo stesso modo in cui vi riuscì Rikidozan in Giappone. Uno dei suoi figli ha intrapreso la carriera di lottatore come il padre con il ring nome di El Hijo del Santo (Il figlio del Santo).
L’arena era stracolma di spettatori, scorrevano fiumi di birra che era servita versando il contenuto di 2 o 3 bottiglie di cerveza tipica messicana, direttamente in un bicchiere di plastica enorme. Finalmente i due luchadores entrano nel quadrato guardandosi in cagnesco. Il pubblico si divide subito in due fazioni. Uomini donne e bambini sono incitati dal loro idolo a sostenerlo, e lui stesso li chiama sul ring.
Contro tutte le regole li fa salire sul ring lo abbracciano lo adorano, il suo avversario preso di sorpresa chiama a sostenerlo un compagno luchadores nano che porta con sé un nugolo di sostenitori. La Lucha ha inizio con questo spettacolo circense, che è uno spettacolo nello spettacolo ma assolutamente vero e spontaneo.
I due contendenti si affrontano subito con un’energia che coinvolge tutti noi, che letteralmente a bocca aperta seguiamo le evoluzioni, gli scontri violenti e rumorosissimi dei corpi che piombano sulla pedana, che per quanto flessibile rilascia un rumore che mi fa capire quanta abilità atletica hanno i due contendenti. I rumori della lotta sono accompagnati dalle ovazioni del pubblico che vede uno di loro sanguinare dalla testa.
Sangue e arena, mi sento un novello Hemingway.
Sul Quadrato entra un medico che ordina la sospensione dell’incontro, è letteralmente buttato fuori dal ring. Durante la lotta capita spesso, come posso testimoniare per esperienza diretta, che un lottatore scaraventi il suo avversario fra il pubblico, che improvvisamente scappa dal proprio posto, ma che alcune volte è travolto ritrovandosi sotto il corpo del suo idolo.
Quindi la Lucha deve continuare.
Uno dello staff sale sul ring e con un apparecchio elettrico rade i capelli del ferito, che vuole continuare la lotta. I due contendenti riprendono lo scontro. La notte di lotta sarà lunga, infatti dopo questo primo incontro se ne susseguono altri fino a tardi, quando inizia la parte più “feroce” e spettacolare. Gli uomini dello staff montano una gabbia alta circa 4 metri, che circonda e chiude il ring dove tutti i luchadores entreranno per combattere uno contro l’altro. Lo scopo è quello di non rimanere dentro la gabbia perché l’ultimo che rimane perderà, con grande disonore, la maschera.
Anche questo spettacolo ha un’incredibile capacità di coinvolgere gli spettatori.
Lo scontro si svolge in un assordante unico rumore di corpi, del ferro della gabbia che a ogni sollecitazione risponde con un rumore terrificante, delle urla del pubblico eccitato dallo spettacolo di forza e aggressività, che esaltano i lottatori e stravolgono ogni regola. Alcuni luchadores salgono sulla gabbia per fuggire, ma sono raggiunti da altri e trascinati a terra. Altri salgono e si gettano lanciandosi nella mischia da un’altezza di quasi 4 metri, cadendo rovinosamente sugli avversari che a terra combattono uno sull’altro.
Rimango talmente coinvolto, che mi trovo a incitare anch’io, a urlare contro chi non combatte, da vero lottatore. Non so quanto sia durato questo spettacolo esaltante e nello stesso tempo al limite del cruento, ma reale e certamente di grande coinvolgimento per gli spettatori.
Non dirò il nome del luchadore che rimasto unico dentro la gabbia per rispetto, cosa che il pubblico invece non fa. Quando gli tolgono la maschera, lui abbassa lo sguardo perché sa che per cinque anni dovrà restare a volto scoperto con un’ignominia che durerà nel tempo.
“Nessuno è mai se’ stesso in prima persona…ma dategli una maschera e vi dirà la verità” (Oscar Wilde.)
La Lucha libre è terminata, si spengono le luci fra i commenti, gli insulti ai luchadores perdenti che hanno disonorato i loro sostenitori, o perché non hanno combattuto con onore, come di solito si usa anche nelle corride quando il torero non affronta un toro rispettando l’animale perché troppo indebolito dai picadores.
Ritorno a casa sulla traballante Fiesta, ma la serata non è finita, ormai sono le tre di notte e i due incredibili ragazzi, che hanno bevuto almeno dieci birre e ormai divenuti miei inseparabili amici, grazie allo spettacolo vissuto insieme, m’invitano a cenare, o per meglio dire a un breakfast mattiniero.
Ci fermiamo in un vicolo della grande Ciudad fra palazzi vecchi e un po’ fatiscenti dove una signora sta arrostendo quello che in Messico è il cibo principe, lo street food…di cui vi racconterò nel prossimo articolo.
di Giorgio de Camillis
16 Settembre 2016