20 agosto 2014
Rodolfo e Valentin mi attendono.
Visitiamo alcuni importanti monumenti di Querétaro, quelli a cui abbiamo rinunciato ieri a causa del nubifragio. In primis Santa Rosa de Viterbo, cattedrale barocca del XVIII. È a navata unica. Cinque pale d’altare in legno intagliato e completamente ricoperta con foglie d’oro. Il pulpito è ornato con legni pregiati, avorio, argento e tartaruga. Due cori, il più basso, ospita un organo del XVIII secolo, la navata è divisa da un pannello con quindici medaglioni e una scultura di Cristo sulla croce. L’alto coro guarda ad un ventaglio d’oro con l’immagine di Gesù adolescente.
Numerosi dipinti, il capitano Velázquez ritratto di Miguel Cabrera Lorea e un ritratto di Suor Ana María de San Francisco e Neve, attribuita al maestro José Páez e considerata una delle più belle foto fatte una suora. Dalla sacrestia inferiore è possibile comunicare con quello che era il convento, e mostra ancora l’imponente edificio e alcuni dettagli interessanti, come i fiocchi sui gradini di alcuni meridiani sul cornicione.
La torre ha un campanile a due corpi, si trova nella parte orientale della cattedrale, passando a nord-est del coro. Il primo corpo contiene i primi tre quadranti di orologi costruiti in America.
Lasciamo Santa Rosa de Viterbo e raggiungiamo una collinetta che ospita il celeberrimo Cerro de las campanas. Il suo nome deriva dal suono semimetallico, simile a quello emesso dalle campane, prodotti da rocce se colpite da oggetti di metallo. Questo luogo fu teatro di una battaglia nel 1987 quando l’esercito repubblicano del generale Mariano Escobedo catturò qui Massimiliano d’amburgo e i suoi generali Miguel Miramon, ex presidente del Messico, e Tomás Mejía. Processati nel Teatro della Repubblica da una corte marziale e condannati all’esecuzione. A ricordo tre mucchi di pietre e le rispettive croci. Una volta riprese le relazioni diplomatiche con l’Austria, venne realizzata una cappella, nel 1900. Nel parco antistante ho potuto colpire le pietre e sentire il curioso suono delle campane.
Lasciamo Querétaro in direzione San Sebastian de Bernal, Pueblo Magico, dove svetta la Peña de Bernal, terzo più grande monolite al mondo, dopo la Rocca di Gibilterra in Spagna ed il Pan di Zucchero in Brasile. Alta 350 metri, si è formata 65 milioni anni fa, nel periodo giurassico, quando un vulcano a causa della sua energia ridotta non poté sfogare la lava e questa si è trattenuta all’interno del vulcano stesso diventando roccia. Il misticismo dei suoi 10.000 mila anni di età pervade l’ambiente locale. Le sono attribuite straordinarie virtù e lo conferma la longevità ultracentenaria degli abitanti della zona. Qui è anche zona mineraria, il regno delle pietre preziose. Rodolfo mi regala un opale, contro la mala vibra e la titolare del negozio Opalo La Guadalupana mi regala anche una piccola tartaruga di Calcedonia. Un negozio certificato dove acquistare pietre vere, poiché le copie non mancano. Non potrò che essere molto fortunata.
San Sebastian de Bernal vanta una longeva tradizione artigianale di oltre 100 anni, che si manifesta attraverso il telaio rustico. Poncho, tappeti di lana, scialli, cuscini, coperte, giacche, tutti realizzati a mano artigianalmente. Ne acquisto uno molto bello, sui toni naturali, senza tinture chimiche, da Sergio a La Concordia, e non vedo l’ora di indossarlo, anche poiché ai piedi della Peña de Bernal l’aria è frizzantina.
Una visita al Castello, magnifico edificio coloniale di fronte alla quale c’è una torre dell’orologio dalla Germania giunta qui agli inizi del XX secolo. Non si può mancare la Cappella delle Anime. Conosciuta anche come “The Animitas” del XVIII secolo, questa cappella è stato costruita in onore delle anime del purgatorio. Non avviene sovente. Altro gioiello architettonico di Bernal è la Cappella della Santa Croce, costruita tra il XVIII e il XIX secolo, gode di grande popolarità e venerazione tra gli abitanti del villaggio. I pellegrini che vengono qui, lo fanno di solito in ginocchio chiedendo qualche piccolo miracolo.
L’altitudine mette appetito, Rodolfo mi propone di assaggiare le gorditas di Doña Cocco, deliziosi fagottini di mais, con formaggio e funghi. Mi attrae anche la foglia di cactus ripiena, quanti cibi curiosi e diversi, sempre piccantini.
Questo è un luogo ideale per riprese cinematografiche, proprio da telenovela. Ricordo di averne seguita una famosa, La Dueña, che scopro essere stata girata proprio qui. Attrice protagonista Anjelica Riveira, oggi moglie del presidente Enrique Peña Nieto.
Adoro questo Pueblo Magico, ma un altro Pueblo Magico già ci attende, Cadereyta de Montes, e più precisamente Mauricio e Alejandra ci attendono all’Hacienda Tovares, splendida dimora storica datata 1640.
Mi attende una carrozza guidata da due cavalli. Io e Rodolfo saliamo a bordo e poco dopo ci raggiungono proprio Mauricio e Alejandra. Percorriamo in carrozza una parte dell’Hacienda Tovares, 50 ettari di semi deserto con anche un lago. Visitare questi luoghi in carrozza ha un sapore speciale, fuori dal tempo. Facciamo una prima sosta in un punto panoramico, un albero gigante, il Pirul, fa ombra in un luogo dove viene disposto un tavolo ed un picnic per cene romantiche a lume di candela.
Spesso viene richiesto dal fidanzato per chiedere la mano alla futura sposa. Il Pirul peraltro è un albero utilizzato dagli sciamani per la pulizia energetica. Un luogo che sa di magia. La visita continua in carrozza e visitiamo altri spazi per picnic, gigliate, un forno a legna per pizza, ed altro, tutto perché si possa godere di questa meravigliosa natura in privato, con i propri cari. Grande attenzione viene data ai diversi cactus che popolano Tovares, soprattutto ad alcuni di questi in via di estinzione. Anche qui si produce il pulche da maguey.
Un curioso orto e fatto a forma di spirale crescente, con al centro un piccolo stagno. Le varie altitudini della spirale consentono la coltivazione di verdure ed ortaggi che richiedono temperature diverse. Lo stagno centrale ospita pesciolini, tartarughe e rane, un perfetto ecosistema naturale. Le tartarughe evitano il proliferare di pesci, le rane quello degli insetti. Questo vale anche per gli alberi da frutto. Quando compare un qualche bruco, anziché i diserbanti, vengono liberate le galline per un banchetto reale.
L’Hacienda Tovares è speciale, forse a fare la differenza sono proprio Mauricio e Alejandra, simpatici, divertenti, ti fanno sentire proprio a casa. Nel patio centrale Paquito, lo chef, ci ha preparato un delizioso pranzo, una torre di avocato e pico de jako, tortillas con fiori di cactus, una caprese in stile messicano, ed altre specialità locali rivisitate. Una delle migliori cucine di questo mio peregrinare messicano. Con noi a tavola anche Miguel, che gestisce il quotidiano dell’Hacienda Tovares ed in particolare i cavalli. Elemento centrale di questo concept. A breve, in settembre, aprirà qui un albergo quanto meno originale. Vi saranno stanze tradizionali ed altre in prossimità del maneggio dei cavalli. Una sorta di ippoterapia a tempo pieno, per vivere quanto più in simbiosi con questi eleganti quadrupedi. Troppo bello qui, che pena andare. Prometto loro di tornare presto.
Tolgo il poncho, fa molto caldo ora.
La nostra prossima tappa è San Juan del Rio, Hotel Misión Galindo. Elisabet mi accoglie con un sorriso radioso, e qualche parola in italiano. Ha vissuto due anni a Playa del Carmen ed aveva un fidanzatino italiano.
Hotel Misión Galindo sorge in una zona agricola e fu un dono di Hernán Cortés a Malinche, alla fine del XVI secolo. È immenso, un sito che ha mantenuto l’originale architettura dell’epoca, i corridoi impressionano, alle pareti pitture ad olio dell’epoca, ampi giardini di grande bellezza, alberi secolari, due piscine gigantesche, grandi saloni, una cappella privata. Un luogo da grandi eventi, anche migliaia di persone volendo.
Qui le leggende abbondano dai tempi coloniali. Al Bar El Caballito, pieno d’incanto, si narrano storie misteriose, sembra che una donna spettrale cammini nei corridoi di Misión Galindo, oppure nei boschi circostanti. In effetti il luogo si presta e come tutti i castelli che si rispettano un fantasma non può mancare.
Lasciamo l’incanto di Misión Galindo e giungiamo ad Amealco. Ha appena finito di piovere, il sole ora scotta, il cielo terso, si vedono le montagne più alte all’orizzonte ed il paesaggio è mozzafiato.
Luz Maria ci attende all’Hotel Misión La Miralla, unico hotel tematico in Messico, dove è possibile rivivere i giorni della rivoluzione messicana e di essere parte di un’avventura di questa avventura. Il personale veste tipico, come allora. Anche qui sembra di tornare indietro nel tempo, di vivere il sogno di libertà.
Un signore con baffi e sombrero ci offre un caffè, il ristoro dei guerriglieri. Murales e foto dell’epoca testimoniano le grandi battaglie ed i protagonisti.
La natura è splendida, boschi, ruscelli, montagne, spianate semi desertiche. Un’oasi di pace e di avventura, dove relax e meditazione si coniugano con arrampicate, tirolesi, discesa in corda doppia, pesca ed anche partite di polo a dorso di mulo. Luz Maria ci invita al ristorante stile vecchio rancho, e mi suggerisce l’avocado ripieno di tonno. Ancora non l’avevo provato. Buonissimo, così come il flan al forno in versione originale.
Il sole ci abbandona e minaccia pioggia. È già tempo di rientrare.
Una volta a Querétaro, saluto Valentin. Rodolfo mi accompagna al Grand Hotel. È stato delizioso in questi giorni.
È una bellissima serata, due passi in piazza, un gelato al cocco e già penso che domani sarò nuovamente altrove. Guanajuato mi aspetta.
(di Patrizia Marin)