Sveglia all’alba, il fuso orario italiano ancora mi perseguita.
Papaya e melone a colazione, ed ecco che Jessica e Juan Carlos sono qui, pronti a partire, allo scoperta di Tulum. Quando pensiamo al Messico, credo a tutti vengano in mente il Tempio Maya che si affaccia prepotentemente su un mare turchese incredibile.
Questi signori più di mille anni fa la sapevano lunga direi.
Zamá è il nome originale della città, che in lingua Maya significava “alba, mattino”. Tulum invece vuol dire muraglia, e si riferisce alle mura che la circondavano. Un nome datogli in epoche recenti quando la città era già abbandonata e in rovina, ma i Maya che vivevano nei dintorni ancora onoravano i suoi templi.
Vi arriviamo verso le 11:00, caldo torrido, umido, tropicale.
La vista è mozzafiato, supera l’immaginazione, l’emozione è forte. Si avverte lo spirito del luogo, la potenza di un popolo, la dignità e la maestosità del tutto.
I Maya furono in primis commercianti, e questo li costringeva a spostarsi su massicce canoe, stile antenati Flinstones per intenderci, per il commercio di merci provenienti da tutto il Messico e dall’America Centrale. Già Ferdinando, figlio di Cristoforo Colombo ne descrisse una nel 1502 d.C. che contava 25 rematori più il carico di merci e passeggeri.
Alcuni scienziati ritengono che il porto, del resto di un porto si tratta, era parte di una importante rete commerciale utilizzata tra l’800 a.C. e il 1521 d.C., inizio del dominio spagnolo. I minuti e possenti marinai Maya sono assimilati in qualche modo agli antichi Fenici.
Commerciavano estesamente una vasta gamma di prodotti, come il cotone grosso e il sale, l’incenso e probabilmente la linfa chiamata copale, la giada, l’ossidiana, il cacao, le piume del Quetzal, un uccello tropicale e persino gli schiavi.
Il commercio dei Maya è stato di ampio respiro tra la costa di Veracruz nel moderno Messico e il Golfo dell’Honduras, un anello di una catena che collegava persone e idee. Distanze a noi inimmaginabili da percorrere in rudimentali canoe, eppure lo spirito, la sofisticazione e l’acutezza Maya poté questo e altro.
Lasciamo il caldo torrido di Tulum e ci regaliamo uno splendido bagno rinfrescante, quasi troppo, nel parco Aventura Maya. Ho capito che qui la natura e l’avventura la fanno da padroni.
Maschera e boccaglio, e via all’interno di un cenote chiuso, alla scoperta di stalattiti e stalagmiti subacquee. La sorpresa e lo spettacolo sono indicibili, i colori sono inattesi e le emozioni vibranti, si sente di appartenere alla natura, di farne parte, di essere un tutt’uno. I pipistrelli sono oramai i miei compagni abituali, simpatici compagni di viaggio.
Sono affascinata da tutto questo, vi sento lo spirito dei Maya, gente che in tempi davvero remoti aveva saputo interpretare questa terra pulsante di vita e di mistero.
(di Patrizia Marin)