La trevigiana Arper debutta a New York con nuovo showroom

 

Arper_Oslo_Showroom_07-2Da Monastier di Treviso a New York in nome di un design di alto profilo applicato al mobile. È questo il percorso dell’azienda Arper che debutta a Manhattan con l’apertura di uno showroom: un loft di 350 metri quadrati nel quartiere di Soho in cui sono esposte le collezioni di sedute, divani, tavoli, accessori, che coniugano semplicità, flessibilità ed estetica, testimoniando una visione capace di proporre soluzioni d’arredo trasversali, in un contesto in cui i confini tra l’ambiente lavorativo e quello domestico sono sempre più labili. Lo sbarco nella Grande Mela, dopo le filiali aperte a Londra, Singapore e Dubai, rientra nel piano di internazionalizzazione che l’azienda Arper ha messo in atto a partire dal 2012 e che la porta a chiudere il 2015 con una previsione di fatturato di 65 milioni di euro e con un export del 94% (di cui 70% in Europa e 30% nell’extra Europa). La sola Italia è cresciuta del 60% arrivando a 5 milioni.

“Il Nord America sta diventando strategicamente sempre più importante per la nostra azienda. Infatti continuiamo a sviluppare la nostra attività in quest’area”, ha detto Claudio Feltrin, titolare e amministratore delegato di Arper. ”Desideriamo che lo spazio di New York non sia solo uno showroom per esporre i nostri prodotti, ma che rappresenti anche un luogo accogliente dove architetti e designer possano trovare ispirazione per i loro progetti”, ha aggiunto.

Arper presenterà qui tutte le proprie collezioni che hanno ricevuto apprezzamento nel mondo: sedute -operative, lounge e contract – divani, tavoli, accessori, dalle sedute operative “Kinesit”, le collezioni “Catifa”, i pannelli fonoassorbenti “Parentesit”, tutti prodotti realizzati dallo studio Lievore Altherr Molina, al divano “Steeve” di Jean-Marie Massaud, al tavolo “Cross” di Fattorini+Rizzini+Partners, ai pouf e tavoli “Pix” di Ichiro Iwasaki, al tavolo “Nuur” di Simon Pengelly e alle sedie “Juno” di James Irvine.

arper-marcopolonewsLo showroom di New York ospiterà anche gli uffici di Arper USA, società del gruppo per il Nord America, e rinforzerà l’azienda sul mercato americano, affiancando lo showroom di Chicago, attivo al “Merchandise Mart” dal 2013 e la base logistico-operativa di High Point, nella Carolina del Nord, operativa dal novembre 2014.

Quest’ultimo anno, Arper ha avuto l’opportunità di collaborare con l’architetto svedese Solveig Fernlund alla realizzazione del suo primo showroom a New York. Da oltre dieci anni il suo studio arreda spazi residenziali e commerciali che sono contemporaneamente ambienti dove si vive e si lavora. Solveig Fernlund parla della sua fonte di ispirazione per la progettazione dello showroom Arper di New York.

d.: Qual è il suo approccio all’architettura?

r.: Quando lavoro con uno spazio già esistente, cerco di far emergere la sua essenza, la struttura e la luce naturale. Mi piace la parola svedese “formgivare” (colui che dà forma) perché fa pensare che la soluzione è lì che aspetta solo di essere portata alla luce. Nelle città, gli interni fanno le veci della natura, sono un rifugio dal traffico e dal frastuono delle strade, un luogo di pace e tranquillità, ma anche di attività ed ispirazione, una sorta di natura ad opera dell’uomo. Ogni progetto deve tenere conto del mutare delle esigenze. Per questa ragione è indispensabile che il progetto venga concepito in un clima di collaborazione, che vi sia un dialogo aperto con il cliente.

d.: Dove trova l’ispirazione?

r.: Nella natura e nell’arte. Ma soprattutto nella musica, perché è astratta ed esprime cose che non sempre possono essere tradotte in parole. Per me è la forma di ispirazione in assoluto più spontanea.

d.: Qual è stato il concept per lo showroom di Arper?

r.: Lo spazio destinato a ospitare lo showroom Arper è un bellissimo loft a New York. Il mio obiettivo è stato quello di renderlo più aperto. Le colonne e le travi sono visibili e servono a definire i differenti usi degli spazi. Lo showroom stesso occupa la parte anteriore della struttura ed è suddiviso in più aree espositive mediante un semplice sistema di pannelli scorrevoli in tessuto semi-trasparente che lasciano la luce naturale libera di diffondersi in tutto l’ambiente. Per lo staff c’è un grande open space condiviso sul retro con spazi delimitati, più ridotti, per riunioni di lavoro e meeting.

d.: Quali problemi o vincoli presentava il progetto?

r.: Volevo che fosse possibile presentare la collezione di Arper in singoli gruppi e vignette anziché esporre tutti i pezzi in un unico grande spazio. Grazie ai pannelli scorrevoli l’ambiente cambia, assumendo diverse configurazioni.

d.: Come vede la relazione tra architettura e arredamento?

r.: Fanno parte di un tutto, l’una sostiene l’altra e viceversa. L’architettura dovrebbe essere rilassante, sicura e forte, rivelandosi ed evolvendo per fasi. L’arredamento può essere giocoso, colorato, essenziale o generoso, a seconda delle funzioni.

d.: In che modo l’ambiente influenza il lavoro?

r.: Mi piace attenuare la distinzione tra spazio lavorativo e abitativo, infatti cerco di far emergere le qualità insite in un luogo o in uno spazio. Realizzare uno spazio di lavoro non è molto diverso dal realizzare uno spazio dove vivere. Il nostro ambiente influenza direttamente il lavoro che facciamo e le sensazioni che proviamo in uno spazio. Molte persone trascorrono la maggior parte del loro tempo proprio nel luogo di lavoro. La sensazione quando vi entrano dovrebbe sempre essere calda e accogliente, ed allo stesso tempo luminosa e libera da elementi che creino confusione e distrazioni. È la pagina bianca su cui proiettare i propri pensieri, senza l’ansia e la frenesia del mondo esterno. I materiali dovrebbero essere di qualità, stimolare il tatto e favorirne l’utilizzo nel tempo.

d.: Come definirebbe un “buon design”?

r.: Un design che abbia una buona capacità d’ascolto ed una visione chiara.

 

di Dario de Marchi

15 Dicembre 2015