Uno degli slogan dei decenni scorsi era: “la Cina è vicina”, parafrasando un film di Marco Bellocchio. Ora lo slogan è una realtà. In tutti i campi. La moda occidentale infatti guarda a Oriente, in Cina per la precisione, dove il mercato del fashion business è in continua espansione, tanto da spingere i colossi della moda a corteggiare il mercato orientale con collezioni e campagne pubblicitarie pensate ad hoc. Per la stagione estiva, l’impero del dragone corre su scarpe, accessori e collezioni del pret-à-porter e dell’ haute couture con ramages, bouquet floreali e pattern irreali. Spazio a nappe, raso e cordoni annodati in vita che ‘abbracciano’ la filosofia orientale. In bilico tra Cina e Giappone, sulle passerelle spring summer 2015 c’è stata una vera invasione di kimono, cinture obi e giacche sagomate dalle cromie rosso cremisi e nero laccato ma anche arabesque orientali, come da Prada, che ha optato per broccati e colletti alla coreana su tubini sfilacciati.
Dalle passerelle a quello che c’è dietro, e prima, si può insomma dire che “La Cina è vicina”, come recitava il titolo di un film di Marco Bellocchio del 1967: non è un mistero che sulle redini della moda internazionale ci siano, da tempo, anche le mani di stilisti asiatici come Jason Wu, Peter Som, Derek Lam, Prabal Gurung, Philip Lim, e Alexander Wang, per citarne alcuni.
Di stagione in stagione, il lusso occidentale sta consolidando i suoi legami con l’ oriente, solleticando le fantasie e il portafogli delle ricche signore dagli occhi a mandorla, in una corsa sfrenata all’ orientalizzazione tout court. La moda italiana parla cinese da anni, dal 1988 per la precisione, quando Laura Biagiotti, precorritrice dei tempi, conquistò Pechino presentando una sfilata-evento con 125 abiti. Il cashmere, ‘pezzo forte’ della stilista romana, era un po’ ovunque, declinato nei toni laccati del bianco e del rosso: lo show fu un successo strepitoso. Con 200 milioni di spettatori cinesi incollati alla tv, Biagiotti dettò subito tendenza, diventando pioniera del made in Italy nel Paese del dragone.
Quasi vent’anni dopo, Fendi sfila per la prima volta nella storia lungo la Grande Muraglia Cinese. È il 2007 e 88 modelle – nella tradizione cinese il numero otto è considerato portafortuna – calcano la passerella per 45 minuti, in una sfilata da record davanti a 500 ospiti. Questa volta sono 300 milioni i cinesi che seguono ammaliati le creazioni di Karl Lagerfeld e Silvia Venturini Fendi.
Da allora, la lista degli stilisti che sono sbarcati, letteralmente, in Cina è diventata lunga. Da Moschino ad Alberta Ferretti, passando per Valentino, Armani, Gattinoni, Chanel e Dior, la ‘China fever’ ha contagiato tutti, compresa Gucci che per le Olimpiadi di Pechino nel 2008 confezionò una collezione venduta esclusivamente sul mercato cinese.
Stesso trend da Max Mara, che per festeggiare i 60 anni di successi, ha dedicato una mostra itinerante ai suoi iconici capispalla, che nel 2008 fece tappa al National Art Museum di Pechino. L’ultimo a portare le sue collezioni in Cina è stato il giovane Cristiano Burani, che in accordo con la Camera Nazionale della Moda italiana e la China Fashion Association, ha sfilato a Pechino lunedì scorso durante la Mercedes Benz China Week, la settimana della moda cinese, presentando i capi della prossima stagione invernale.
Ma il viaggio in Cina non è di sola andata; è il caso di Giada, marchio italianissimo di Rosanna Daolio, nato nel 2001, ma che nel 2005 ha affidato strategie di marketing e capitali al gruppo cinese RedStone haute couture di Yihzeng Zhao. I numeri del brand sono strabilianti: quasi 50 boutique monomarca nel mondo, con il primo flagship store nel quadrilatero milanese della moda, in via Montenapoleone, inaugurato nel 2013.
Un altro esempio è quello di Krizia, che da Mariuccia Mandelli, fondatrice del brand, è passata totalmente in mani cinesi l’ anno scorso. A tenere le redini dell’azienda è l’imprenditrice Zhu ChongYun della Shenzhen Marisfrolg Fashion, che ne cura creazioni e business.
Cina rampante anche nell’annuale mostra al Constume Institute del Met di New York, al via il prossimo 4 maggio, che festeggerà il suo centenario dedicando l’esibizione ai legami tra la moda orientale e occidentale.”’China: Through the Looking Glass” (così il titolo della mostra) vedrà esposti 130 abiti dagli archivi di grandi stilisti internazionali. Qualche nome? Alexander McQueen, Valentino, Yves Saint Laurent, Chanel, Tom Ford, Dior, e Roberto Cavalli. Di quest’ ultimo è indimenticabile la collezione del 2005 ispirata al blu delle porcellane cinesi.
Dalle collezioni del passato a quelle del presente, quest’anno sono molti gli stilisti che sono saliti sull’Orient Express, come Sarah Burton che per Alexander McQueen ha scelto l’oriente come leitmotiv in un contrasto cromatico tra eteree orchidee bianche e rosa e il nero estremo, un po’ geisha fetish un po’ samurai, ma anche tanto bianco e nero in pura tradizione taoista.
L’Asia per anni ha influenzato Giorgio Armani, dalle collezioni di pret-à-porter, a quelle di alta moda, come nell’ estiva Armani Privé, in cui il bambù domina e diventa fil rouge dell’intera collezione, stagliandosi su abiti e giacche. Protagonisti tessuti impalpabili come gazar e seta, ma anche paillettes che si arrampicano su abiti e stole. L’oriente di Armani non trascura cinture obi, tailleurs bianchi candidi con tocchi di nero, quasi a voler trovare un equilibrio tra ying e yang, il giorno che diventa notte e la notte che si fa giorno. Abiti plissettati che si addicono al daywear, ma che accessoriati con orecchini di resina e clutch di coccodrillo sono perfetti all night long.
La ‘orient connection’ di Armani è un invito all’eleganza estrema, raffinata, atemporale: tutto, dalle proporzioni ai tessuti, fino ai tagli, i colori e le silhouette, fa eco all’oriente. Foglie verdi di bambù cadono su giacche plissettate, pantaloni in garza double e abiti bustier, e si tramutano in preziose cappe color malva dai contorni orientali. Le cinture obi e da judo nei toni del nero e sabbia abbracciano il punto vita di abiti e pantaloni.
I colori dei giardini cinesi accendono le mise di Dior Haute Couture primavera-estate 2015. Qui i fiori decorano i lunghissimi paltò in pvc dalle contaminazioni pop e seventies. Passa dalla Cina al Sol Levante Giambattista Valli, che nella linea di pret-à-porter propone ceramiche Ming dipinte sugli abiti ma anche nozioni colte e assonanze all’architettura giapponese degli anni ’60. In passerella sfilano rami di ciliegio in fiore nei toni del bianco, giallo e del rosa pastello su gonne e minidress; duchesse e cady i tessuti preferiti per questa stagione dallo stilista romano.
Carven accosta invece le silhouette sixties degli abiti a trapezio al rigore orientale in una tavolozza di tinte forti: giallo e rosso, ma anche nero, bianco e incursioni floreali. Marni mixa i codici estetici orientali agli archivi della maison, sposando la filosofia del minimalismo orientale, tra citazioni giapponesi al kimono e colori neutri del bianco e del nero, declinati su chemisier, giacche e soprabiti.
Lunghe giacche a vestaglia con rimandi asiatici anche da Fausto Puglisi, mentre da The Row (label fondato dalle gemelle Mary-Kate e Ashley Olsen) l’oriente passa soprattutto per le silhouette. I volumi sono over in perpetui giochi di sovrapposizioni esagerate, i toni caldi: terracotta, sabbia, beige e tanto black&white.
Per gli accessori, Valentino opta per stampe floreali turchesi e grafismi bianchi, ma anche incursioni rosse fanno capolino su handbag e scarpe, dandogli un’allure orientale. Mentre da Marchesa i sandali con le nappine si arrampicano sulle caviglie da Ohne Titel decorazioni blu e bianche richiamano, ancora una volta, i decori delle porcellane made in China.
Il vento d’oriente non ha smesso mai di soffiare: sulle passerelle milanesi, lo scorso febbraio, per la stagione autunno-inverno 2015-2016, Elisabetta Franchi aveva scelto i profili di salici piangenti, ciliegi in fiore e l’ iconografia del drago. Dagli smoking alle gonne, passando per abiti e bluse dai volumi over, la stilista ha reinterpretato in chiave moderna i capi chiave della cultura jap, come il kimono, trasformato grazie a giochi di volumi, tagli, proporzioni e cordoni, in un’ alternanza di cromie oro e nero.
E se la moda occidentale guarda sempre più a oriente, in Cina sono tanti gli stilisti che cercano di scalare le vette del fashion system. Tra le forbici più promettenti delle nuove generazioni di stilisti c’è Uma Wang, che dal 2005 (anno in cui ha lanciato l’omonima linea) è diventata una delle forze guida dell’ industria cinese della moda. Tra i new talents ci sono anche Yan Ming, Alison Yeung e Zhang Xi che si dedicano ad accessori e pret-à-porter, ma anche Vega Zaishi Wang, Qiu Hao ed Embry Form (marchio lanciatissimo di intimo di Hong Kong).
Molte le icone asiatiche a farsi largo nel fashion, come l’attrice e cantante cinese Li Bing Bing, assoldata da Gucci nel 2012 come testimonial per gioielli, accessori e orologi del brand fiorentino.
Liu Wen, prima modella cinese ad essersi imposta nel fashion system è stata recentemente scelta da La Perla, storico brand di lingerie, che l’ha voluta tra i volti dell’ultima campagna pubblicitaria accanto all’inglese Cara Delevigne e alla polacca Malgosia Bela. Anche Fei Fei Sun, altra modella cinese, è da qualche stagione una delle protagoniste delle campagne pubblicitarie di Valentino, Dior, e Prada. La Cina è terra d’ispirazione anche nel mondo dei profumi: Hermès ha penetrato i giardini cinesi per ricreare la nuova fragranza ‘Le Jardin de Monsieur Li’, un jus dalle note acquatiche di gelsomino, bamboo giganti, kumquat (i mandarini cinesi) e foglie di limone. Una fragranza unisex che il maitre parfumeur della maison francese, Jean-Claude Ellena ha creato dopo essere stato conquistato dai profumi dei giardini d’oriente durante un viaggio in Cina. Giallo il flacone dell’ eau de toilette, ultima arrivata nella collezione ‘Jardin’, che rievoca il chinese garden come luogo di meditazione a metà tra fantasia e realtà.
di Patrizia Tonin
7 Aprile 2015