Le scarpe italiane, dopo l’euforia della delocalizzazione all’estero degli anni scorsi, cominciano a tornare a casa! .”Oggi raccontiamo una storia nuova, che parla del valore del Made in Italy e di come questo sia strettamente legato a doppio filo al territorio e alla sua filiera, alle quali molte aziende che avevano delocalizzato stanno ora pensando di ritornare. Si tratta di segnali ancora agli inizi ma già chiari, che emergono anche da una ricerca commissionata da Assocalzaturifici per valutare meglio il fenomeno e per capirne le ragioni e i possibili sviluppi”. Il presidente di Assocalzaturifici, Cleto Sagripanti, ha commentato così i risultati della ricerca presentata a Firenze, a Palazzo Vecchio, al convegno “Il grande ritorno – Imprese, Governo e Banche per il Made in Italy in Italia”.
“Vogliamo interrogarci su questo insieme alla politica, che oggi è rappresentata dal Ministro del Lavoro Poletti, e al mondo delle banche: riappropriarci del Made in Italy è una battaglia di civiltà e non possiamo essere lasciati soli”, ha aggiunto Sagripanti. “Abbiamo bisogno che le istituzioni ci aiutino a promuovere una nuova consapevolezza e un nuovo Rinascimento del Made in Italy, anche grazie all’introduzione a livello europeo dell’etichettatura di origine obbligatoria. Noi italiani dobbiamo essere i primi custodi del nostro saper fare e non possiamo ignorare o sottostimare un valore riconosciuto in tutto il mondo”.
La ricerca, curata dal Back-reshoring Research Group del consorzio universitario Uni-Club MoRe, presenta dati inediti sul fenomeno del reshoring, che già l’ Associazione aveva intercettato qualche mese fa e che ora è stato analizzato attraverso uno studio su un campione di imprese del settore”.
Seppur tuttora circoscritto e limitato rispetto alle potenzialità, a causa di un quadro legislativo ancora problematico e una congiuntura poco favorevole, il ritorno della produzione in Italia si delinea dalla ricerca come un fenomeno in lenta crescita anche tra le medie imprese del comparto moda calzature: il settore abbigliamento e calzature nel suo insieme rappresenta ad ora il 19,3% delle decisioni di riallocazione registrate su scala mondiale, mentre, sempre a livello mondo, l’Italia è il Paese d’origine a cui ricondurre il 20% delle decisioni di back-reshoring, primo Paese della Ue (davanti al Regno Unito e alla Germania) e secondo in classifica dietro agli Stati Uniti d’America (46,6%), veri protagonisti del ritorno alla manifattura.
In riferimento al campione di aziende di Assocalzaturifici intervistate, la motivazione di gran lunga più rilevante alla base delle scelte di delocalizzazione è stata la ricerca di minori costi di produzione. L’iniziale scelta di delocalizzazione manifatturiera è stata poi successivamente rivista dal 47% delle imprese che l’aveva implementata: la ragione in assoluto prioritaria per la scelta di rientrare è rappresentata dal valore aggiunto che il mercato riconosce al prodotto Made in Italy, oltre alla scarsa qualità del prodotto e/o delle lavorazioni realizzati oltre-confine ed il mancato rispetto dei tempi di consegna.
Il vero fattore competitivo che fa da volano al rientro della produzione sembra, quindi, essere la qualità e la tempestività della filiera corta italiana. In sostanza, si torna a produrre in Italia anche perché questo garantisce maggior competitività sui mercati internazionali. Le realtà imprenditoriali che hanno fatto ricorso all’off-shoring, infatti, tendono ad esportare meno di quelle che hanno mantenuto in Italia l’intero processo produttivo, per tutte le fasi di produzione e per l’ intera gamma di offerta.
Dalla ricerca emerge, pertanto, un’esigenza di ritornare alle maestranze e alle eccellenze italiane, capaci di produrre un valore di fatto inimitabile.
Ma i consumatori italiani quanto conoscono il Made-in-Italy e quanto questo valore guida le loro scelte negli acquisti? Parte da questa domanda la ricerca curata da Renato Mannheimer di Ispo, condotta su un campione di consumatori italiani, uno di buyer che operano sia sul mercato italiano sia su quello estero ed un campione di opinion leader di settore.
Agli intervistati è stato chiesto di esprimersi sulla loro percezione del Made in Italy, spaziando da temi come la lotta alla contraffazione e il rapporto qualità/prezzo delle calzature italiane. Il Made in Italy si conferma quale punto di riferimento per i consumatori, prodotto di qualità ed elemento di forza per il nostro Paese.
Comprare Made in Italy è per il 78% degli intervistati una forma di tutela e sicurezza per il consumatore, nonché una garanzia di commercio corretto, senza sfruttamento dei lavoratori.
Emerge però un dato al quale prestare particolare attenzione: il consumatore, pur riconoscendo la qualità e la garanzia delle calzature italiane, non ne sente ”il richiamo” e non fa del Made in Italy un criterio di scelta della propria calzatura. Il Made in Italy va salvato certamente dalla concorrenza estera e dalla contraffazione, ma anche dal rischio di scivolare verso l’indifferenza del consumatore.
”Abbiamo le eccellenze calzaturiere più belle del mondo e un prodotto che all’estero continua ad essere apprezzato, nonostante le difficoltà su tanti mercati, per primo quello russo”, ha precisato il presidente Sagripanti. “Grazie alla nostra intuizione abbiamo individuato come il fenomeno del reshoring stia cominciando a diventare sempre più significativo. Per sostenere questo fenomeno c’è bisogno certamente di trasmettere al consumatore il valore del Made in Italy, ma anche e soprattutto di supportare le aziende e proprio con questo obiettivo oggi a Firenze abbiamo messo insieme la politica, le banche e le aziende della moda”.
Anche in un anno di forte crisi, in cui alla stagnazione europea si aggiunge la recessione in Russia e nell’ area della CSI e il rallentamento cinese, il comparto moda calzature ha incrementato l’attivo commerciale con l’estero del 3,4% portandolo a quasi 2,7 miliardi di euro nei primi sette mesi del 2014. L’export cresce in valore del 4,5% e continua a salire il prezzo medio del prodotto esportato.
Il calzaturiero rappresenta un tassello fondamentale per l’economia italiana e per il suo rilancio: per questo diventa strategico favorire il rientro della manifattura. Un obiettivo che va condiviso necessariamente con le Istituzioni, che devono rimettere l’impresa e il lavoro al centro dell’agenda del Governo.
Anche in Europa l’Assocalzaturifici sta combattendo, insieme a Confindustria, una battaglia centrale per l’introduzione dell’etichettatura di origine obbligatoria, che ha registrato lo scorso aprile il voto ampiamente favorevole del Parlamento Europeo e che ora è al vaglio del Consiglio, incontrando però resistenze da parte dei governi del nord Europa.
Il risultato delle votazioni all’Europarlamento sul ‘Made in’ è una testimonianza di come in Italia e in Europa si senta fortemente la necessità di incentivare un percorso di reindustrializzazione e di accompagnare il ritorno alla manifattura, per raggiungere l’obiettivo del 20% del Pil che è stato fissato da Bruxelles nel progetto Horizon 2020.
”Questo convegno è solo un punto di partenza”, ha osservato il presidente di Assocalzaturifici Cleto Sagripanti. “Vogliamo partire da qui per presentare delle proposte di legge concrete per il rilancio della manifattura in Italia, rimettendola al centro dell’ agenda Politica”.
“Il Jobs Act sembra dare dei segnali concreti per sburocratizzare e semplificare i rapporti di lavoro e incentivare le assunzioni e anche alcune misure inserite nella legge di stabilità dimostrano che si è finalmente presa la giusta direzione per favorire la competitività. Ma non possiamo accettare il mancato impegno in termini di investimenti per il rilancio promozionale del Made in Italy: chiediamo che vengano trovate le risorse per reinserire un programma importante, ambizioso e coerente con gli impegni presi dal governo mesi fa”.
“La proposta di Assocalzaturifici si basa su tre direttici principali: formazione, credito e investimenti in innovazione. In particolare, in termini di occupazione e formazione”, ha spiegato Sagripanti, “proponiamo la formula innovativa del contratto di servizio, ovvero un percorso formativo on the job correlato alle concrete esigenze delle aziende calzaturiere dei territori”.
“Inoltre, chiediamo al governo di defiscalizzare le spese per la realizzazione di campionari e di offrire alle aziende un ‘credito di filiera garantito’, cioè di garantire finanziamenti a imprese calzaturiere sane che rilancino le produzioni interessando direttamente tutta la filiera della subfornitura. Infine chiediamo di agevolare gli investimenti delle nostre piccole imprese per promuoversi e vendere sui nuovi canali: social network, e-commerce, portali e comunicazione web”.
“Il grande ritorno delle nostre imprese sarà direttamente proporzionale alla capacità del nostro Paese di promuovere la cultura d’ impresa”, ha concluso il presidente dell’Assocalzaturifici.
16 novembre 2014
di Eleonora Albertoni