Nell’anno di Expo Milano 2015, sta gradualmente prendendo piede il foraging (foraggiamento), ossia la ricerca di cibo selvatico, dal mare ai boschi, dai licheni alle ortiche, dalle alghe agli insetti, dai boschi alle montagne fino al mare. La natura, quella più selvaggia, da sempre mette infatti a disposizione un ventaglio di ‘nuovi’ sapori per la nostra tavola del futuro.
“È l’attività di raccogliere vegetali o parti di essi adatti al nutrimento umano in ambienti incontaminati come spiagge, boschi, alta montagna, foreste. Nel foraging possono essere inclusi molluschi di mare e di terra e anche gli insetti”, ha spiegato Valeria Margherita Mosca, direttrice di “Wood*ing” ed essa stessa forager e chef, in una conversazione con l’agenzia Adnkronos.
“Noi siamo un laboratorio di ricerca sull’utilizzo del cibo selvatico in cucina, facciamo ricerca scientifico-culinaria”, ha detto, ”e proponiamo consulenze, ci occupiamo dell’elaborazione di nuovi prodotti, cioè del ‘cibo del futuro’ in quanto risorsa per nutrire le popolazioni”.
Il food lab cerca una “possibile e vera” sostenibilità alimentare che vada oltre il biologico o il concetto di “km zero” e che coniughi identità, biodiversità e tradizioni. E che sia a impatto zero. Il concetto di foraging “veicola messaggi importanti in termini di sostenibilità ambientale e tutela. Perché ha grandi valenze etiche: permette di ricollegarci all’origine della materia di cui andiamo a nutrirci, di riacquistare la connessione con l’ambiente naturale”, ha sostenuto.
È un’attività che richiede competenze specifiche su “habitat, botanica, ambiente nel suo complesso per entrare in armonia con esso e rispettarlo”, ha aggiunto l’esperta.
I ritmi naturali del cibo selvatico (wild food), ad esempio, non rispettano le classiche ‘quattro stagioni’. “Noi seguiamo le microstagioni: alcune piante ci sono solo per alcuni giorni. È un lavoro molto lento, slow. Che ci obbliga a seguire le tempistiche naturali.
In questo momento”, ha ricordato Mosca, “per i forager è un periodo glorioso in quanto si possono ancora raccogliere le parti verdi, come erbe e foglie degli alberi, e radici”. Ora, ad esempio, è tempo di: “prugnolo, sorbo, cinorridi di rosa canina, faggiole, radici di bardana e tarassaco, erbe come piantaggine e tarassaco”.
E il sapore? Secondo Valeria Margherita Mosca i “vantaggi organolettici sono innumerevoli dal momento che ci troviamo davanti a un catalogo di nuovi alimenti che possono suggerire nuove consistenze e sapori. Nel cibo selvatico il gusto è all’ ennesima potenza. Una insalata selvatica ha una serie di sapori e gusti accentuati che non si trovano nel cibo coltivato”.
Non solo. A suo dire, “il cibo selvatico è molto più ricco di minerali, vitamine e nutrienti rispetto a quello coltivato. Perché l’uomo ha selezionato i vegetali da coltivare sulla base di caratteristiche come grandezza, produttività, ecc. Ma l’ortica, ad esempio, ha 25 volte più vitamina C rispetto alla lattuga coltivata. L’abete rosso 8 volte più di un limone. E poi è cibo gratuito”, ha sottolineato Mosca.
Ma non ci sono solo licheni, rosa canina, rabarbaro, rafano o luppolo. “Wood*ing” ha dedicato un braccio del laboratorio alla ricerca sull’entomofagia: “Noi ci occupiamo di insetti selvatici, non allevati”, ha precisato, “e abbiamo fatto esperimenti per un’introduzione nell’alimentazione quotidiana con la camola del miele e della farina e con i grilli. Obiettivo è quello dio capire come questo cibo del futuro può essere inserito in un contesto quotidiano”.
Il risultato? “Entusiasmante: sono interessanti sia dal punto di vista organolettico, i toni vanno dall’agrumato al sentore di frutta secca. Gusti diversi che variano a seconda dell’alimentazione dell’ insetto”, ha detto l’esperta ricordando che “sono prodotti che hanno anche altri vantaggi: sono poco impegnativi, contengono un’elevata quantità di proteine e di grassi più sani”. Insomma, ha ribadito Mosca, “superata l’impasse iniziale, molto psicologica, possono essere interessanti”.
Con “Wood*ing”, ha raccontato la forager, “ci stiamo concentrando molto anche sulle alghe, dal momento che il mare è uno degli territori più estesi. Sono molto nutrienti, ricche di carboidrati, minerali, vitamine, un alimento completo. Le ricerche si stanno specializzando in quel senso”. Insomma, una grande varietà di soluzioni per un diverso modo di intendere l’alimentazione guardando al futuro del pianeta. Fondamentale, però, è di non improvvisarsi cercatori di cibo selvatico. Invece, è necessario seguire corsi o chi ha studiato a fondo la materia. “Perché può essere anche pericoloso. Un ‘sosia’ cattivo può essere tossico o anche mortale, non basta comprare un libro”, ha concluso Valeria Margherita Mosca.
di Mariangela De Stefano
29 Settembre 2015