Al Rural Festival di Rivalta agricoltori e allevatori del territorio sono custodi di antiche razze animali e varietà ortofrutticole a rischio d’estinzione.
È molto frequente il ricorso al termine «biodiversità» (coniato dall’entemologo E.O. Wilson nel 1988), in particolar modo quando i discorsi vertono sulle specie e sulle varietà. Se infatti cerchiamo di circoscrivere il concetto di biodiversità, possiamo affermare che esprime il numero, la varietà, e la variabilità degli organismi viventi e come questi variano da un ambiente a un altro nel corso del tempo.
Un ecosistema molto biodiverso, secondo una legge dell’ecologia, è più stabile di altri poveri, in grado di tornare alla stato originario anche dopo episodi di distruzione e attacchi da parte di parassiti. Non solo, può mantenere nel tempo il numero di specie animali e vegetali presenti, e di fungere da serbatoio della stessa specie. Inoltre rafforza la produttività di un suolo agricolo, di una foresta, di un lago, di fatti è stato dimostrato che la sparizione o la perdita di biodiversità porti all’insicurezza alimentare ed energetica, fa crescere la possibilità di inondazioni, riduce la disponibilità di risorse idriche e può anche far perdere tradizioni culturali.
Purtroppo il termine biodiversità emerge solo quando c’è un’emergenza o il pericolo di estinzione di una varietà o di una specie ittica (es: il tonno mediterraneo), ma sono altresì in forte contrazione la gallina prataiola, il gambero di fiume, il gallo cedrone, la pernice bianca, la tartaruga di mare e via dicendo.
Il fenomeno della globalizzazione ha portato danni irreparabili alla biodiversità animale e vegetale, ma le diversità quando vengono minacciate da un«elemento dominante» mostrano sempre una forza inaspettata di resistenza. E nonostante i danni irreparabili di questi ultimi cinquant’anni razze, specie e varietà biodiverse sono diventate più forti, grazie alla loro originalità in mezzo ad un mare di omologazione.
Ci sono altri termini purtroppo che hanno monopolizzato l’opinione pubblica al posto di biodiversità: il chilometro zero, slogan di marketing «fotocopiato» dagli Stati Uniti, dove «zero miles» è utilizzato da anni, o anche il bio, i cui prodotti sono possibile ovunque: in Europa come nelle Americhe o in Australia, ma un prodotto biodiverso rispecchia invece un unicum, ed è inimitabile. Il territorio italiano ha una presenza «biodiversa» come pochi altri Paesi al mondo, basti pensare ai vitigni, alle cultivar di olivo, alla razze animali. Una risorsa importante che va oltre l’offerta alimentare ma soprattutto può rendere “turistici” i territori.
Sono rimasto molto colpito dalla notizia dell Rural festival (6-7 settembre) a Rivalta (Parco Barboj) di Lesignano dei Bagni (Parma) dove agricoltori e allevatori del territorio, custodi di antiche razze animali e varietà ortofrutticole mettono in mostra e fanno assaggiare i loro prodotti, ma soprattutto raccontano le loro esperienze intriganti, appassionate e faticose. Una biovalley trascinata da un allevatore di maiale nero allo stato brado, Mauro Ziveri dell’azienda Rosa dell’Angelo di Traversetolo, che con grande passione ha chiamato a raccolta una ventina di realtà, in un parco costruito per far conoscere il territorio e le produzioni locali.
Agricoltori e allevatori hanno tutti una dimensione mignon a cominciare dal Podere Cristina di Valentina Cipelli, che alleva all’aperto la gallina di razza romagnola (o anche di razza rustica) con una produzione di circa eccellenti cinquanta uova al giorno. Nello stesso podere ci sono numerose piante di frutti antichi e un allevamento di una razza biodiversa: il cavallo bardigiano. Non manca un vitigno autoctono, si tratta della Termarina, a bacca rossa e bianca, recuperato (da Forte Rigoni) e reimpiantato dall’azienda agricola La Madonnina di Torrechiara che ne produce circa tremila bottiglie. E in questo territorio parmense c’è, inaspettata, anche la presenza dell’olivo (di cui un esemplare secolare del milleduecento, si può vedere!), la cultivar mulazzano, dell’azienda agricola Elena, partita con sole dodici bottiglie di olio anni fa . L’azienda agricola Grossi di Lesignano ha iniziato il viaggio nella diversità con l’orzo tostato «Leonessa» da caffè, selezionata dal professor Strampelli (il padre del Senatore Cappelli), poi ha scoperto i grani antichi, tra cui quello del miracolo, assai cercato dai panettieri. L’ azienda agricola Iris di Rivalta produce il Pioniere alla stessa maniera del passato quando il parmigiano-reggiano si cuoceva con fascine di legno e con il latte crudo intero della mungitura mattutina delle vacche brune . La Corte di Boceto di Carpanedo è un’azienda di ventisette ettari che produce fieno biologico per animali, ortaggi, frutta, legumi e carne e con il centro Stuard di San Pancrazio, ha recuperato circa trecento varietà di piante antiche, alberi da frutto e cereali. E ancora Ca’ d’Alfieri di Bardi coltiva frutti antichi, legumi e ortaggi da cui poi vengono trasformati in marmellate (fra cui una a base di peperoncino).
12 settembre 2014
da il Gastronauta Davide Paolini