Per Expo Milano 2015 tornano anche le antiche viti lagunari della Serenissima. Dopo aver creato un vigneto nell’isola di Torcello, nella Laguna di Venezia, utilizzando il materiale genetico prelevato dalle vecchie viti di Venezia ritrovate all’interno di conventi, broli, giardini e altri luoghi, infatti, il Consorzio Vini Venezia ha contribuito a restaurare l’orto giardino del convento dei frati Carmelitani Scalzi, adiacente alla chiesa di Santa Maria di Nazareth in Cannaregio, conosciuta come chiesa degli Scalzi, uno dei più mirabili esempi dell’architettura barocca veneziana risalente alla metà del Seicento. Un progetto, firmato dall’architetto Giorgio Forti, che ora ha permesso la ristrutturazione e l’apertura al pubblico di uno dei più importanti luoghi di Venezia in concomitanza con Expo Milano 2015.
Uno scrigno verde, appena inaugurato, a salvaguardia della biodiversità della città lagunare dove sono state recuperate e messe a dimora tutte le essenze floreali proprie dell’habitat veneziano. Sette aiuole che raccolgono piante di tipo diverso, dal frutteto all’uliveto, dal bosco al prato. Una tale originalità che per tutta la durata di Expo Milano 2015, il Consorzio Vini Venezia ha riaperto le porte dell’antico Brolo di Cannaregio, regalando ai turisti di tutto il mondo la possibilità di vedere uno dei più antichi giardini di Venezia.
I due vigneti sperimentali (quello di Torcello e nel convento degli Scalzi) sono stati creati utilizzando le varietà mappate e riprodotte, nell’ambito del progetto storico-scientifico diretto dal prof. Attilio Scienza, un luminare del settore. Piano che è stato approvato anche dal Comitato Venice to Expo 2015, che ne ha riconosciuto la grande valenza culturale e ne ha colto le potenzialità in fatto di turismo alternativo. La Camera di Commercio di Venezia ha poi finanziato la produzione di materiale informativo e di una nuova guida alla chiesa e al brolo che saranno di supporto alle visite guidate che il Consorzio Vini Venezia e Venezia Wine and Food hanno organizzato in occasione dell’Expo Milano 2015.
Il campionamento e la riproduzione del Dna delle antiche viti, in particolare, ha permesso di dare nuova vita al patrimonio viticolo della città lagunare ricreando i vigneti della Serenissima e l’atmosfera delle locande goldoniane e restituendo a Venezia il suo patrimonio viticolo e il ruolo di fervido porto commerciale che ha avuto fin dai tempi più antichi.
Il progetto di recupero da parte del Consorzio Vini Venezia risale al 2010, quando è cominciata la ricerca, in collaborazione con un gruppo di tecnici dell’Università di Padova e Milano, il Centro di Ricerche per la Viticoltura di Conegliano (Treviso) e Tiberio Scozzafava, dell’Università di Berlino.
“La disponibilità delle comunità religiose, delle aziende ed anche dei privati hanno consentito la visione delle piante ed il prelievo di campioni per effettuare il Dna alle piante che risultavano di origine incerta o avevano comportamenti particolari”, ha spiegato Carlo Favero, direttore del consorzio, il quale ha ricordato che “questo ci ha permesso di raccogliere un patrimonio di varietà molto interessante formato da tipi di viti conosciute, ma con ‘habitus’ non caratteristici e particolarmente resistenti alle malattie, accanto ad altre sconosciute”.
Come spiegato nel libro dal titolo “Il vino nella storia di Venezia” (tradotto anche in inglese), che racconta il progetto, sono state campionate complessivamente 68 piante. L’identificazione varietale della vite è stata affrontata con l’analisi del Dna che ha consentito di ottenere l’impronta genetica della vite, il suo profilo molecolare e di fare un confronto con la banca dati del Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano e con i dati di letteratura, portando all’identificazione di quasi tutte le viti campionate in undici località comprese tra la laguna Nord (isola di Torcello, delle Vignole e di S. Erasmo), Venezia città e la laguna Sud (Lido Alberoni, S. Lazzaro degli Armeni e Pellestrina).
Sono stati ottenuti 25 profili molecolari, 22 dei quali corrispondono a varietà già identificate. In particolare, si tratta di 20 varietà di Vitis vinifera L., 14 uva da vino e 6 uva da tavola, e di 2 ibridi interspecifici molto noti, il Baco noir ed il Villard blanc. Tra i ritrovamenti anche una varietà importata dall’Armenia.
Tra le varietà da vino sono prevalenti quelle a bacca bianca, cioè Albana, Dorona, Garganega, Glera (o Prosecco), Malvasia istriana, Moscato giallo, Tocai friulano, Trebbiano toscano, Trebbiano romagnolo, Verduzzo trevigiano e Vermentino; le rimanenti sono a bacca nera, cioè Marzemino, Merlot e Raboso veronese. Anche tra le uve da tavola prevalgono quelle a bacca bianca. Nell’isola di S. Lazzaro degli Armeni è stata identificata una varietà denominata Rushaki, a bacca bianca, a duplice attitudine. Si tratta di una costituzione recente, ottenuta nel 1932 da incrocio tra Mskhali e Sultanina all’Istituto armeno di ricerca per la viticoltura, l’enologia e le piante arboree di Yerevan. Questa varietà è stata importata dall’Armenia nella laguna di Venezia.
È con l’intento di salvaguardare questa biodiversità del patrimonio viticolo lagunare, che sono stati realizzati i due vigneti sperimentali che raccolgono le viti recuperate dal progetto ed alcune varietà storiche presenti da centinaia di anni all’interno della laguna di Venezia.
di Enos Caneva
25 Maggio 2015