Nuova vita in vista, anche in chiave turistica, per lo Schioppettino, il più noto vitigno autoctono friulano a bacca nera, conosciuto anche col nome di Ribolla Nera (insieme al Refosco dal Peduncolo Rosso). “Lo Schioppettino è uno dei vitigni autoctoni sui quali il progetto di rilancio del turismo del Friuli Venezia Giulia potrà puntare per presentare le carature e le specificità del territorio”, ha infatti sostenuto Sergio Bolzonello, vicepresidente della Regione e assessore alle Attività produttive del Friuli Venezia Giulia, intervenendo a conclusione del primo momento di approfondimento sulle potenzialità locali del territorio regionale.
“La viticoltura locale, anche grazie al progetto, ha trovato coesione attorno alla produzione e alla valorizzazione della denominazione viticola dello Schioppettino. Il progetto di rilancio dello Schioppettino”, ha detto il vicepresidente della Regione, “rappresenta uno dei mattoni che compongono l’articolata, vasta e accattivante offerta turistica della nostra Regione. In un’ottica di promozione che prevede la valorizzazione del territorio in tutte le sue attraenti sfaccettature turistiche ed enogastronomiche”.
Sull’origine del nome del vitigno ci sono due teorie principali: Schioppettino come riferimento alla croccantezza dei suoi acini; oppure al fatto che il vino giovane, se imbottigliato, può diventare naturalmente frizzante, causando un processo di fermentazione malolattica in grado di auto-stappare la bottiglia.
Le prime testimonianze storiche di questo vino risalgono a documenti datati 1282, ritrovati nell’Archivio del Castello di Albana, situato nel territorio di Prepotto (Udine).
Nonostante una storia millenaria, all’inizio degli anni ’70 il vitigno era però pressoché estinto a causa delle malattie, Oidio prima e Fillossera poi (fine ‘800-inizio ‘900), ma anche della scelta di molti viticoltori di sostituire i vitigni autoctoni con vitigni internazionali; e ancora del fatto obiettivo che a distanza di pochi chilometri da Prepotto e dalle sue zone cru per eccellenza, Cialla ed Albana, le uve ottenute non dessero gli stessi eccellenti risultati in termini di vino prodotto; e, infine, per problemi di ordine burocratico: lo Schioppettino, infatti, non figurava neppure nell’elenco delle varietà di cui era consentita la coltivazione.
Ma poi c’è stato una sorta di miracolo: Paolo e Dina Rapuzzi avviarono la loro cantina, “Ronchi di Cialla”, e grazie anche all’aiuto di Bernardo Bruno, allora sindaco di Prepotto, riuscirono a trovare le viti superstiti sul territorio comunale e a realizzare un primo impianto di 3.500 ceppi. Iniziativa che, di fatto, ha segnato l’inizio della rinascita dello Schioppettino.
Come riconoscimento per tanto lavoro e lungimiranza, ai coniugi Rapuzzi nel 1976 è stato assegnato il premio “Risit d’Aur” (la barbatella d’oro), alla sua prima edizione, promosso dalle Distillerie Nonino (quelle famose per la grappa) per “… aver dato razionale impulso alla coltivazione, nel suo habitat più vocato in Cialla di Prepotto, dell’antico prestigioso vitigno autoctono dello Schioppettino, di cui assurde leggi ne hanno decretato l’estinzione …”. In giuria allora c’era anche il giornalista ed enogastronomo Luigi Veronelli. A distanza di un quarantennio, lo Schioppettino ora è un grande vino rosso, venduto in tutto il mondo, pluripremiato, con un’associazione di produttori che lo tutela e lo promuove.
13 ottobre 2014
di Enos Caneva