Anche dal palermitano il barometro della produzione vitivinicola segna previsioni che volgono al brutto. Calo del 20-30% della produzione, impossibilità a distillare l’invenduto dello scorso anno a un prezzo che restituisca quanto investito e un nuovo fronte di crisi che si apre con le banche. A vendemmia già cominciata, insomma, non promette bene il prossimo futuro dei viticoltori della provincia di Palermo. Per questo, secondo i vertici della Cia, Confederazione italiana agricoltori di Palermo, occorre pensare da subito a soluzioni e nuove strategie che devono passare da un ritorno alle tipicità siciliane – uniche nel panorama internazionale – e da un sostegno alla loro diffusione nel mondo.
La Cia del capoluogo isolano promuove, quindi, un tavolo di lavoro da avviare quanto prima, invitando tutti i maggiori imprenditori del vino e gli operatori pubblici e privati che hanno a cuore lo sviluppo socio economico della Sicilia, a portare le proprie analisi e idee progettuali.
«I viticoltori in questo momento sono pressati da molti problemi di varia origine», ha spiegato Antonino Cossentino, presidente provinciale della Cia, che aggiunge: «Sul fronte della produzione il calo è dovuto al nuovo diffondersi della peronospora e al ciclico periodo di bassa produzione. Se il nostro vino trovasse una adeguata valorizzazione con un marchio d’area Sicilia nei diversi mercati, forse non aspireremmo all’ultima spiaggia della distillazione dell’invenduto. Fra altro questa eventuale distillazione, visti i prezzi praticati dalla Spagna che hanno fatto saltare i preaccordi con le distillerie locali, rende impossibile recuperare neanche una minima parte di quanto investito. Questo crea un ulteriore problema con le banche per i prestiti ricevuti e su quelli che dovrebbero arrivare per la vendemmia di quest’anno. Davanti a tutto questo non si registra un vero sostegno da parte dell’Unione Europea. Ma bisogna reagire e non aspettare che la soluzione cali dall’alto».
Un completo bilancio della stagione si potrà fare soltanto fra qualche settimana. Bisogna. Però, pensare da subito a un cambio di rotta deciso. «Non bisogna più puntare sulla quantità sperando nelle vendite in massa o peggio nella distillazione»,è l’invito di Cossentino, «Non crearsi illusioni sui vitigni internazionali, settore in cui Paesi come Australia e Cile, e ora anche Cina e altri, hanno già una posizione dominante con prezzi imbattibili. L’unica via di uscita è puntare sulla tipicità, sui vitigni autoctoni come Insolia, Catarratto, Grillo, Nero Avola, Frappato, Nerello ecc. Non esistono da nessun’altra parte del mondo e qualitativamente non hanno nulla da invidiare agli inflazionati internazionali. Abbiamo innumerevoli ‘success case histories’ in questo senso».
I vini siciliani godono, inoltre, di uno sponsor che pochi hanno: la storia, dai testi omerici in poi: «Una storia millenaria che condividiamo con la Grecia antica», ha spiegato Antonio Terrasi, direttore provinciale, «e che contribuisce a dare maggiore fascino alle nostre etichette. Non dimentichiamo che il vino è una bevanda che il consumatore vuole capire. Occorre restare fuori dall’anonimato e riuscire a “vendere” queste cose insieme: vitigni tipici. e cultura del bere e tradizioni».
«Per questo», ha aggiunto Cossentino, «sarà importante ridare nuovo slancio all’azione dell’Istituto regionale vini e oli di Sicilia che in passato è riuscito a far apprezzare il vino siciliano nel mondo valorizzando vitigni e partecipando a fiere internazionali. Sarà importante sostenere le piccole aziende che possono dare qualità e identità ai prodotti, rivedendo ad esempio la quantità di adempimenti burocratici che opprimono i viticoltori e il sistema dell’OCM vino, la misura che concede finanziamenti e contributi per i produttori vitivinicoli, che impone un limite minimo per accedervi di 50 mila euro. Asticella che ha finito col dirottare fondi verso le grandi aziende e non verso quelle piccole e di nicchia che producono proprio quei vini fortemente tipici. In Francia il concetto di ‘terroir’ è spesso riferito a piccoli appezzamenti di terreno di pochi ettari, dove si ottiene qualità eccelsa da superfici minime. Del resto ne era convinto anche Luigi Veronelli che ha scritto che L’ultimo dei vini artigianali sarà sempre migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un’anima».
10 settembre 2014
di Dario de Marchi