Funziona la joint-venture gastronomica sorta nel cuore di Roma, all’interno della Città dell’Altra Economia. Ossia la “Stazione di Posta”, il ristorante stellato di Pino Cau con lo chef Marco Martini, che lunedì 20 aprile ospiteranno la serata “Il futuro di una volta” per presentare la nuova linea di prodotti di eccellenza dell’azienda Capecchi, “Tradizione e Gusto”.
È la storia di un incontro fortunato quella tra Pino Cau e Marco Martini, rispettivamente patron e chef del ristorante “Stazione di Posta”, Il primo, imprenditore da sempre impegnato nel mondo dell’ospitalità e della ristorazione, il secondo giovane e talentuoso chef alla ricerca di poter “firmare” i suoi piatti. “Stazione di Posta” è un posto unico a Roma, e forse unico al mondo. Collocato nell’ex mattatoio della Capitale, chiuso nel 1975 e rilevato dal Comune da un Consorzio di quattro cooperative, è il ristorante di quella che ora si chiama La Città dell’Altra Economia. In parte sede della Facoltà di Architettura di Roma Tre, in parte del Macro, il Museo di Arte Contemporanea, ospita un negozio bio, il Caffè Boario, una libreria ludoteca per bambini, botteghe dedicate al commercio solidale, grandi spazi aperti per famiglie, giochi per i più piccoli e ancora tanti edifici da ristrutturare.
È stato proprio il fascino di questo luogo, decadente e modernissimo al tempo stesso, ad avere spinto Pino Cau nel 2012 a rilevare quella che, allora, era una trattoria bio. Dopo aver maturato numerose esperienze nel campo dell’ospitalità alberghiera nel gruppo della sua famiglia, Pino comincia la sua prima attività prima nella “Veranda” dell’hotel Columbus e poi, nel 2007, rileva l’Hotel Rex, vicino a Via Nazionale e nel 2011 con Alessandro Pipero avvia il ristorante “Pipero al Rex” che solo dopo un anno ottiene la stella Michelin. Nello stesso periodo arriva la nascita di un piccolo hotel di charme vicino a Fontana di Trevi Casa Cau, con sette appartamenti per una clientela selezionata.
“Tra me e ‘Stazione di Posta’ c’è stato un vero innamoramento”, ha raccontato Cau “e quando sulla mia strada è apparso Marco Martini ho capito che l’innamoramento poteva trasformarsi in amore vero. Perché Marco mi ha dato la possibilità di fare di questo posto un grande ristorante, senza snaturare, anzi integrandoci perfettamente con la realtà in cui siamo inseriti. La sfida è stata quella di far incontrare la grande cucina delle stelle con il bio e sfatare l’idea un po’ vecchia che queste due realtà non potessero convivere”.
Un posto quasi sconosciuto alla maggior parte dei romani (neppure i tassisti conoscono Largo Dino Frisullo), dove non c’è transito e dove non arrivano i turisti, frequentato da una clientela giovane e da molti stranieri. Un posto dove si deve venire appositamente. I tipici sampietrini per terra, mattoni al soffitto, in quello che una volta era uno dei locali del mattatoio. Larghe vetrate che danno sul piazzale inondano di luce le due sale del ristorante. Informale e semplice, ma al tempo stesso elegante e curato. Un posto dove si sta bene, dove ci si sente in famiglia. Complici il servizio, gestito dal giovane Andrea Farletti, accurato ma mai ricercato, i grandi divani della zona aperitivo, l’ampio bancone per una sosta veloce e un cocktail preparato da Luigi Di Cioccio, la cucina “di casa” di Marco Martini.
Ventinove anni, romano, si può dire che Marco Martini abbia veramente bruciato tutte le tappe. Chef per passione, frequenta la scuola di cucina di Antonello Colonna a Labico (“ci andavo tutti i giorni in autostop”, ha raccontato) e dopo un anno, nel 2007, quando Colonna apre a Roma “Open Colonna”, entra a far parte della brigata di cucina. Prima sous chef e poi executive chef per sei anni.
“Da Antonello ho imparato tanto ed ho avuto modo di sperimentare i miei primi piatti, come l’’aglio e olio di mare’ o il negativo di carbonara’. Ma avevo voglia di imparare altro, di andare all’estero. Così nel 2012 accettai la proposta di Heinz Beck di andare a lavorare a Londra nel suo ristorante ad Hide Park Corner , l’’Apsleys’, dell’hotel ‘The Lanesborough’. Un’esperienza molto formativa, in una cucina con 28 chef italiani e numeri da capogiro. Ma non ancora abbastanza per un ragazzo che voleva imparare ancora e guardava oltre. Sceglie, quindi, una nuova esperienza da Tom Aikens, una sorta di “servizio militare”, come lo ha definito Marco. Tutti inglesi, una cucina nuova, rigore, disciplina. “Da Tom ho imparato che fare lo chef è un duro lavoro, ma ho acquisito anche tecniche di cucina internazionale, che non mi appartengono, ma che mi da sicurezza possedere.”
Dopo tre mesi e mezzo, tornato a Roma per le vacanze di Pasqua alla fine di marzo del 2013, Marco incontra Pino Cau e a Londra non ci torna più. “I primi tredici mesi”, ha aggiunto, “sono rimasto barricato in cucina e, mentre continuavo la linea della trattoria e sfornavo fettuccine e abbacchio a scottadito, sperimentavo e annotavo le mie ricette. Quelle che compongono ora il menu di Stazione di Posta”.
Le soddisfazioni ed i riconoscimenti non tardano ad arrivare. Dopo aver conquistato il titolo di Miglior Chef Emergente del Centro Italia, nel 2013, nella gara organizzata da Luigi Cremona, nello stesso anno vince la finale nazionale a Roma, a Officine Farneto. E nel 2014 arriva, inaspettata, la stella Michelin.
Una stella ancora più meritata perché la cucina di Marco è una cucina speciale, basata sui ricordi dei sapori dell’infanzia e della tradizione, che quasi miracolosamente si ricompongono in piatti assolutamente innovativi. Come il ‘tortello, mortadella, pizza bianca e pistacchi’, che evoca il sapore della insuperabile pizza bianca e mortadella, ma che è un raviolo dalla pasta un po’ bruciata (la pizza), ripieno di mortadella e pistacchi, con salsa alla pizza cosparsa di gemme di sale. O il classico ‘mare e monti’, rigatoni al sugo di pesce, con salame piccante e mozzarella, o ancora l’‘agnello, cagliata, camomilla e more’, cucinato con gli ingredienti che l’agnello mangia.
Un menù che cambia continuamente, seguendo la stagionalità e la creatività dello chef. Come la prossima sorpresa che Marco porterà a tavola a fine cena, dopo la piccola pasticceria: gli ‘spaghetti di mezzanotte” (secondo le buone abitudini conviviali), che qui diventano uno spaghetto fritto e croccante che riunisce tutti i colori e i sapori della classica ‘aglio, olio e peperoncino’.
Due menù degustazione, uno vegetariano, uno light per il pranzo e uno “familiare” per la domenica, l’indicazione degli allergeni contenuti nei piatti.
Per seguire le nuove tendenze, che Pino Cau conosce molto bene, da poco in carta anche il menù “Cocktail e piatti”, nove cocktail creati da Luigi Di Cioccio, abbinati ad un piatto di Marco. Come ‘americano chinato e animelle’, ‘daiquiry liquirizia, porto e uovo, porchetta e foie gras’, ‘corrugato e piccione, scorzanera e caffè’. Si può fare un pasto completo sorseggiando cocktail, che ovviamente vengono serviti in porzioni mini. Pino Cau e Marco Martini, insomma, due che di certo non sanno fermarsi. Ma se per Marco la stella non è un obiettivo, ma solo un premio, per Pino il sogno rimane il primo innamoramento: far rivivere la Città dell’Altra Economia, integrarsi pienamente con essa e con quello che c’è intorno, arte, cultura, sostenibilità, per farla diventare quello che in parte già è, ossia un luogo unico al mondo.
di Eleonora Albertoni
12 Aprile 2015