Il bello dell’Italia è che non si finisce mai di scoprirla. E gli stranieri lo sanno. Non solo per i suoi stupendi borghi (grazie all’associazione “I Borghi più belli d’Italia”, che li sta proteggendo e valorizzando), spesso isolati e per questo incontaminati, dove la bellezza, la storia, la natura e le tradizioni si fondono e si conservano al meglio. Ma anche per quelle delizie gastronomiche di nicchia geografica, custodite gelosamente e che non sono state ancora “scippate” dai grandi chef. Alla presentazione della guida “I Borghi più belli d’Italia”, a Eataly Roma, è stato scoperto il velo su una prelibatezza sconosciuta e meravigliosa. Portata nella Capitale come i magi portarono oro incenso e mirra al Bambin Gesù.
Come se fosse stata tolta dal cilindro dal mago Silvan, al terzo piano di Eataly è infatti comparsa la versione più semplice della ciuìga (o ciuìga del Banale), un salame tipico prodotto nelle valli Giudicarie Esteriori, per la precisione a San Lorenzo in Banale, in provincia di Trento, ai piedi delle Dolomiti del Brenta. Un cibo che nacque per superare la povertà e l’indigenza di valli che hanno conosciuto la fame e l’emigrazione.
La produzione di questo raro salume è forzatamente legata al periodo di raccolta delle rape: la ciuìga è infatti composta da carne suina macinata ed amalgamata proprio a questo ortaggio. La sua produzione copre un periodo variabile che va da inizio ottobre e continua fino ad aprile.
La storia della ciuìga è fatta risalire all’incirca al 1875, quando fu per la prima volta prodotta e proposta da un macellaio del paese di San Lorenzo in Banale : Palmo Donati. Dopo di lui la tradizione della produzione di questo salume tipico fu mantenuta viva dagli eredi e dagli altri macellai del paese. Fino ad oggi, con grande discrezione e senza clamori.
Risalire all’origine del nome non è affatto difficile dal momento che “ciuìga” nel dialetto locale indica le pigne degli abeti, la cui forma è appunto molto simile a quella del salume che ne ha preso il nome. Negli anni in cui la ciuìga venne creata la situazione economica in queste zone montane trentine non era tra le più rosee e di conseguenza le carni più pregiate del maiale venivano destinate alla vendita per racimolare le entrate indispensabili al sostentamento dell’economia familiare. Quello che rimaneva delle carni suine veniva riciclato e sfruttato al massimo per ottenere dei prodotti alimentari ad uso familiare. Tra questi la ciuìga. Sembra che inizialmente le varianti della ricetta includessero anche il sangue del suino (in maniera similare ai sanguinacci).
Oggi invece questo salume viene prodotto utilizzando parti di carne decisamente di ottima qualità, quali come spalla, coppa, pancetta o gola.
La preparazione della ciuìga, come tanti altri salumi non è di per sé particolarmente complessa. Anni di esperienza ne hanno affinato la ricetta che pochi macellai a San Lorenzo in Banale ancora oggi si tramandano. Il primo passo della produzione è la preparazione delle rape, che dopo essere state tagliate a fette vengono cotte ed in seguito torchiate per togliere all’impasto risultante il maggiore quantitativo possibile d’acqua (che ne danneggerebbe la conservazione). Questa operazione ridurrà almeno di un quarto il peso delle rape che verranno aggiunte alla carne di maiale macinata: la proporzione prevede un impasto di 40 chilogrammi di rape a cui si aggiungano circa 60 chilogrammi di carne di maiale. A questo punto viene fatta l’aromatizzazione dell’impasto, vengono aggiunti aglio tritato, sale fino e pepe nero. Una volta insaccate nel budello, le ciuìghe vengono legate ed affumicate secondo una antica procedura che prevede un tempo di otto giorni in un vecchio locale senza camino, dove il fuoco viene alimentato anche con qualche ramo di ginepro per conferire più aroma.
La ciuìga può essere consumata fresca già dopo alcuni giorni di stagionatura, facendola bollire in acqua per circa 20 minuti e le ricette locali la vogliono abbinata con patate lesse, purè, cavoli tagliati fini o polenta e crauti. Se lasciata stagionare per un periodo leggermente più lungo (a partire da una decina di giorni) assume la consistenza di un salame e può essere tagliata a fette come un comune salume, in questo caso viene abbinata tradizionalmente alla patata e alla cicoria tagliata finemente.
Una tradizione fortemente radicata e che non ha voluto scomparire ha fatto sì che dopo un lungo periodo in cui per la sua limitata distribuzione la ciuìga aveva dato l’impressione di essere un prodotto destinato a scomparire oggi, invece, è stato rivalutato, tanto da divenire un prodotto catalogato da Slow Food come uno dei presidi del Trentino Alto Adige.
Annualmente nel periodo autunnale (tra ottobre e novembre) si tiene a San Lorenzo in Banale la “Sagra della Ciuìga“, dal 31 ottobre al 2 novembre, appuntamento che gastronomico da non perdere (lo slogan è “chi non ci viene è un vero salame!”) per poter gustare la ciuìga preparata tradizionalmente ed abbinata alle ricette locali. Con il passare del tempo l’ingegno e la sensibilità gastronomica hanno portato le massaie a creare nuove ricette con la ciuìga, come un antipasto, la ciuìga in pasta pane brioche alle noci; smacafam del Brenta alla ciuìga; En gnoc e na patata alla ciuìga; fantasia tipica con polenta gialla bramata, fonduta di spressa e peverada con la ciuìga. Ovviamente cibo accompagnato con vino rosso trentino: Marzemino, Teroldego o Merlot.
Ma la ciuìga resterà ancora rara e protetta, così come era, dopo che ha fatto il suo passaggio per la Capitale?
28 ottobre 2014
di Enos Caneva