Spumanti italiani in controtendenza rispetto ad un mercato ancora asfittico. Mentre nel 2015 l’economia si è confermata ancora in stallo, con i consumi alimentari fermi e difficoltà per molti beni non indispensabili, dai consumi nazionali di bollicine nel 2015 arrivano invece segnali positivi, di fiducia, di speranza, se il vino è ancora il prodotto più social, superiore alla cucina. Nel 2015 sono aumentati i siti, i blog dedicati al “vino”, meglio ancora agli spumanti (+6%). Dopo il dato positivo delle feste, la Grande Distribuzione Organizzata-GDO, che rappresenta il 69% delle vendite fra tutti i canali, indica una crescita in volumi (+0,8%) e valori (+1,2%). Valore medio della bottiglia di spumante è pari a € 4,30. Anche gli acquisti in cantina (a marzo e a settembre, c’è stato il boom) sono aumentati sia per spumanti che per vini fermi. Ancora nessun segnale positivo dall’Horeca: ”causa ricarichi, leggi restrittive, salutismo” come dicono gli intervistati da Osservatorio Economico Vini-OVSE.
“Ritorno, finalmente, al segno più dopo anni di decrescita. Ma attenzione, può essere un dato occasionale se non si interviene con una politica nazionale specifica e coordinata pubblico-privato su promo-commercializzazione e promo-informazione nel mercato interno, come è stato fino al 2010. Niente voli pindarici sui numeri e cifre”, ha detto in modo drastico Giampietro Comolli, patron di OVSE dal 1991. Dalla sede di Piacenza ha sottolineato che “due/terzi d’Italia consuma meno di 1/3 di bollicine stappate nelle regioni nord-Italia. Le cantine devono puntare a sviluppare il mercato interno, per dare peso specifico e valore aggiunto al prodotto. L’export fa bilancio d’impresa, ma la crescita economica viene dalla ampiezza e diffusione dei consumi interni”.
Gli spumanti italiani sull’intero mercato interno segnano una crescita del 0,7% globale sul 2014 concomitante a un aumento del prezzo medio al consumo del 0,5%, posizionato a 6,9 euro per bottiglia. Nel 2015 sono state stappate 147,4 milioni di bottiglie, pari ad un fatturato di circa 1 miliardo di euro, pari al 28,8% di tutta la produzione nazionale, cui aggiungere i 6,0 milioni di bottiglie importate, principalmente Champagne ( di cui 4,7 milioni di bottiglie effettivamente consumate, escluso re-esportazione).
Sul mercato italiano e fra le etichette nazionali, il Prosecco Docg-Doc ha una quota del 68%, ovvero ogni 3 bottiglie stappate, due fanno riferimento alla “piramide” Prosecco spumante: l’aumento di prezzo, dal 2014 al 2015, sullo scaffale e in enoteca va da un minimo del 3-4% fino al 10-15% per alcune tipologie. Il Prosecco sul mercato interno cresce in volume e in fatturato, continua a rosicchiare spazi e mercato ad altri spumanti generici, senza identità, superati nel gusto. Il Prosecco Docg-Doc consumato in Italia vale alla produzione € 240 milioni, a fronte di un fatturato al consumo nazionale superiore al mezzo miliardo di euro.
Mercato interno differenziato anche per il metodo tradizionale: il Franciacorta cresce nei consumi sia domestici che in horeca per il 7% con prezzi stabili al consumo, per un valore alla produzione che sfiora i 100milioni di euro e un giro d’affari prossimo al traguardo dei 230 milioni di euro. Dati inversi, invece, per tutte le altre bollicine come Oltrepò Docg-Doc, TrentoDoc, Altalanga con volumi leggermente in calo o stabili e fatturato globale in crescita (+0,9%).
Bene le bollicine sparse nelle varie Doc italiane (Gavi, Lugana, Soave, Trentino, Verdicchio) nei mercati prossimali e locali: in crescita volumi e valori al consumo, entrambi intorno all’0,9%. Franciacorta con consumi interni annui vicinissimi ai 15 milioni di bottiglie doppia e supera il Trentodoc a 7 milioni di bottiglie. Altre Dop e altri ad 1,1 milione di bottiglie circa.
OVSE oggi vanta 25 anni di dati. Ha puntato su due aspetti: le vendite-distribuzione sui vari mercati e i consumi, canali, momenti, volumi, valori. OVSE si è interessato di “produzione” come dato di partenza fornito dai consorzi, dalle imprese e dalla Camere di commercio. Dati scaturiti più da calcoli matematici che da un reale monitoraggio. Spesso diversi dati non coincidevano negli anni, per cui OVSE ha dovuto attrezzarsi di sistemi statistici e metodologie di calcolo che tenessero conto dei dati “teorici”.
Le uve-mosti vendemmia 2015 sono molto migliori di quelle del 2013 e 2014, per tutte le tipologie. I vitigni-uva , in Italia, destinati alla produzione di vini spumanti sono di 36 varietà diverse, bianche rosse e rosate. I vigneti che producono uve destinate a vini spumanti italiani ammontano a 45.000 ettari, di cui poco più di 4.300 per il metodo tradizionale (no “classico”, grazie) e 39.800 per il metodo italiano (no “charmat”, grazie!). Segnale importante sulla qualità vendemmiale, viene dai primissimi assaggi delle basi di “metodo italiano”: si presume saranno intensi, colorati, pieni più gustosi che profumati, meno varietali. Una indicazione che può valere anche per i vini fermi.
Il mercato interno nazionale per i “vini spumanti” si presenta stabile come dato assoluto, anche se ci sono stati significative modifiche nei tempi di consumo. Abbiamo registrato una concentrazione maggiore degli acquisti-consumi durante occasioni speciali. “Continua un ritorno allo status stagionalizzazione”, ha detto Comolli, “che si era attenuata negli anni 2004-2009”. Diminuisce la continuità dei consumi di bollicine, aumenta la scelta nelle stagioni di punta. Soprattutto in primavera si è constatato un aumento degli acquisti diretti in cantina. Leggero calo delle confezioni regalo a vantaggio dei vini rossi premium. Il fatturato al consumo è in leggera crescita grazie ai valori a bottiglia nella distribuzione organizzata e grazie al fenomeno Prosecco doc che sta soppiantando gli spumanti comuni secchi. In calo ancora Asti e Brachetto d’Acqui. Nulla di nuovo fra i metodi tradizionali fissi intorno a 23-23,5 mil/bott consumate nell’anno 2015.
Oltrepò, Altalanga, Trento e altri segnano il passo nei numeri, tengono nei valori. Franciacorta crescono volumi e valori assoluti, ma prezzi al consumo più ballerini e diversificati. Nessuna crescita per i brand fuori dalle denominazioni top. Il prezzo ha assunto la leadership degli atti d’acquisto in tutti i canali, meno fra le etichette premium.
È definitivamente andato in pensione il rapporto prezzo-qualità per le scelte d’acquisto, soppiantato dal valore-identità, più complesso, più in linea con un consumo sempre più mirato, ma anche infedele. Oggi la alta qualità di un Franciacorta o di un Trento è molto diffusa rispetto a 20 anni fa: difficile sbagliare. Si entra di più nei dettagli dell’etichetta e del nome del produttore, nel potere d’acquisto, nella simpatia, nella scelta soggettiva: vince il gusto privato, non più collettivo della guida di turno.
“Segnale reale che crisi dei consumi equivale sempre ad una crescita della spesa intelligente e della consapevolezza del prodotto acquistato. Meno atti di acquisto, più tempo per ogni acquisto”, ha concluso Giampietro Comolli.
di Dario de Marchi
26 Febbraio 2016