L’Istituto Grandi Marchi tira fruttuosamente le somme di 10 anni di attività e, nonostante la lunga congiuntura internazionale, ne trae un consuntivo più che positivo e incoraggiante per il futuro delle sue esportazioni. Come le impennate delle vendite del vino italiano di qualità in Brasile, aumentate di ben il 562%, il successo delle azioni di promozione realizzate in dieci anni dall‘Istituto Grandi Marchi, l’associazione consortile che riunisce le 19 cantine-simbolo dell’ enologia tricolore nel mondo (ne fanno parte Alois Lageder, Argiolas, Biondi Santi Greppo, Ca’ del Bosco, Michele Chiarlo, Carpenè Malvolti, Donnafugata, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San Guido, Umani Ronchi). Dal 2004 al 2014, attraverso i progetti dell’Ocm Vino Promozione dell’UE, ha investito complessivamente circa 60 milioni di euro, di cui circa 1/3 con il sostegno Comunitario. A presentare il lusinghiero bilancio è stato Piero Antinori, presidente dell’Istituto Grandi Marchi, che ha delineato una crescita strutturale dell’export sui mercati globali pari al 41%, nel corso di una conferenza stampa nella suggestiva Biblioteca Angelica, accanto alla pregevole Basilica di Sant’Agostino, a Roma.
“Si è passati a triplicare il numero di Paesi Terzi coperti, che oggi rappresentano circa il 90% della domanda extra-Ue di vino. Le nostre politiche manageriali hanno determinato da una parte un incremento dei fatturati in Paesi extra-Ue di grandi prospettive, come dal +88% in Russia, al +133% in Cina e il +562% in Brasile; dall’altra un consolidamento dei mercati di sbocco, con ottime performance negli Usa (+19%), in Canada (+25%), in Svizzera (+59%) e in Giappone (+79%)”, ha sottolineato Antinori, ricordando che “da un punto di vista qualitativo ciò che ci contraddistingue è l’aver messo in cantiere, anche con i finanziamenti Ocm, progetti di penetrazione e presidio dei mercati, non semplicemente operazioni mordi e fuggi. Le nostre imprese stanno investendo sui mercati più rilevanti e di maggiori prospettive future, esportando prodotto di qualità, generando valore di marca e Paese”.
Nel corso del convegno Alberto Mattiacci, professore ordinario di economia e gestione delle imprese all’università Sapienza di Roma, ha presentato una ricerca “Racconti dal futuro. Dieci anni di Made in Italy nel mondo per un domani di successi”, realizzata per l’Istituto italiano del vino di qualità Grandi Marchi. Da essa emerge che “il Pil italiano avrebbe oggi 500 miliardi di euro in più se fosse cresciuto quanto si è svilippato l’export di vino made in Italy dal 2007 al 2013”.
I numeri dell’export italiano, per il prof. Mattiacci, infatti, “sono un caso di successo imprenditoriale e amministrativo”, con una crescita dal 2008 al 2013 del 45% a valore e del 23% a volumi. Un incremento netto e strutturale, ma anche qualitativo, perché “gli incrementi a valore superano quelli a volume, segno di una crescita costante della qualità del prodotto esportato”.
Un successo anche “intrinseco e pervasivo”, perché in grado di assorbire sia la crisi post 2008, sia l’effetto Euro e perché, secondo la ricerca, i Paesi Terzi crescono più di quelli dell’area UE, sia a volumi (+32% circa) che a valori (+50% circa). In aggregato, inoltre, il valore medio del venduto sulle piazze extra-Ue è quasi doppio di quello UE.
Il focus sulle azioni di promozione realizzate dall’Istituto Grandi Marchi si concentra sulle attività prodotte dal 2009 al 2013, da quando cioè l’Istituto è impegnato nei progetti dell’Ocm Vino Promozione. Secondo lo studio de La Sapienza, i risultati sono in certi casi netti e clamorosi. Successo anche sul fronte della penetrazione nei mercati, dove si è passati a triplicare il numero di Paesi Terzi coperti, che oggi rappresentano circa il 90% della domanda extra-UE di vino.
Una politica manageriale che ha determinato, da una parte, un incremento dei fatturati in Paesi extra-UE di grandi prospettive; dall’altra un consolidamento dei mercati di sbocco, con ottime performance negli USA, in Canada, in Svizzera e in Giappone.
Per il presidente dell’Istituto Grandi Marchi, Piero Antinori “da un punto di vista qualitativo ciò che ci contraddistingue è l’aver messo in cantiere, anche con i finanziamenti Ocm, progetti di penetrazione e presidio dei mercati, non semplicemente delle operazioni mordi e fuggi. Le nostre imprese stanno investendo sui mercati più rilevanti e di maggiori prospettive future, esportando prodotto di qualità, generando valore di marca e Paese. La ricerca che abbiamo commissionato vuole essere uno strumento utile per aprire un tavolo di confronto sull’Ocm Vino Promozione tra chi, come noi, ha dimostrato di aver lavorato per il bene comune e le istituzioni che rappresentano questo settore anche a livello politico nazionale e in sede UE”, ha detto ancora Antinori.
A proposito degli USA, Pietro Antinori ha detto che “gli Stati Uniti sono diventati il primo mercato di consumo di vino al mondo. Ma solo dieci anni fa nessuno lo avrebbe detto. Alte poi le potenzialità di crescita della domanda enoica: negli States il consumo di vino pro capite è ancora basso, 9 litri a persona, rispetto ai 35 in Italia e ai 40 litri in Francia. Ma per le aziende vinicole il rendimento di un investimento negli USA e nel Nord Europa, è ancora molto superiore. Per questo le azioni dell’OCM promozione dovranno guardare a questi mercati”.
Negli Usa, ha osservato ancora Antinori, il successo del vino Made in Italy si accompagna a quello della ristorazione e della moda, piace il nostro stile di vita, e i consumatori di vino sono abbastanza acculturati visto il boom di guide e riviste a tema. E quindi non ha potuto fare a meno di enfatizzzare il rilievo dell’incoming e dello stretto legame tra vino e territorio. “Chi beve vino lo fa con competenza, anche perchè gli Usa producono vino. Stesso discorso vale per il Brasile, dove c’è una predisposizione anche nel dna alla qualità del vino. E il vino aiuta a migliorare la qualità del vita. È per questo che conviene investire le risorse dell’OCM Promozione negli Stati Uniti e in Brasile, mercati strutturati dove c’è produzione locale e questo crea più interesse per il vino italiano”.
La ricerca sottolinea come gli investimenti effettuati nel periodo di riferimento seguano un modello manageriale di azione, fatto di attività “consumer-oriented” per circa il 60% delle risorse utilizzate e di “market relation” con iniziative dirette agli stakeholder media, d’opinione e commerciali, per circa il 40%.
Per il prof. Mattiacci “l’Ocm è una variabile esogena al sistema delle imprese, che a nostro avviso ha funzionato egregiamente e riveste un’importanza futura fondamentale. Non si comprende la ragione di certe critiche recentemente mosse a questo che, invece, ci piace definire uno strumento di politica industriale europea”. Lo studio vede l’esperienza italiana nell’Ocm come una misura ancora perfettibile, se comparata con quella francese e spagnola. Tre le possibili aree d’intervento: la semplificazione delle procedure gestionali; l’introduzione di meccanismi di selezione dei player che accedono alla misura in ragione della loro capacità di usare i fondi su progetti solidi e di prospettiva; la costante verifica dell’impatto di medio termine della misura, a livello aggregato e di monitoraggio obbligatorio dei singoli progetti.
Infine, la ricerca individua il profilo di un export italiano di valore che combina alcuni caratteri, ben rappresentati dai player dell’Istituto Grandi Marchi: è imbottigliato, frutto di presenza commerciale stabile e di una vendita attiva di offerte “glamour”. Questo modello dovrà continuare a crescere per sostituire gradualmente un altro modello presente nell’export italiano, fatto di sfuso e “basic”, frutto di attività di vendita one-shot e spesso passiva. In aprile, l’Istituto Grandi Marchi sarà promotore di un convegno di approfondimento su questa ricerca, destinato a tutto il settore del vino italiano.
Redazione
3 Febbraio 2015