«Io c’ero. Ero nella stanza degli Orazi e Curiazi in Campidoglio dove il 25 marzo di 60 anni fa furono firmati i Trattati di Roma. Fuori pioveva a dirotto ed il clima atmosferico rispecchiava in pieno quello tra di noi: non ci credeva nessuno che quei fogli, peraltro firmati in bianco e poi ‘riempiti’ nelle successive negoziazioni, potessero avere successo. Fu un vero miracolo», aiutato anche dalla storia degli anni che seguirono. A parlare all’ANSA è Achille Albonetti, unico superstite dell’epoca, presente a quella firma nel suo ruolo di consigliere economico della Rappresentanza italiana dell’Oece (Organizzazione Europea per la Collaborazione Economica).
Esperto di politica estera, grande conoscitore della genesi dell’Unione Europea e protagonista del panorama energetico e nucleare degli ultimi 70 anni. «Avevamo negoziato quei Trattati a Bruxelles nei due anni precedenti, quelli che seguirono la Conferenza di Messina. L’intento era creare un’unione politica di difesa comune, iniziando da quella economica. Ma ci credevamo solo noi negoziatori che lavoravamo in una ‘campana di vetro’. Non ci arrivò mai una indicazione dalla politica, non ricevemmo neanche un telegramma dal nostro governo. E quel giorno, il 25 marzo 1957 a Roma, la cerimonia fu velocissima, non più di 30 minuti, in un’atmosfera surreale. Nessuno di noi ci scommise, anche perché i 6 leader (Italia, Francia, Germania dell’Ovest, Olanda, Lussemburgo e Belgio) firmarono di fatto fogli in bianco prima di tornare a casa».
A fare di quel giorno il simbolo della nascita dell’attuale Unione Europea «fu la storia e quello che accadde subito dopo: l’ascesa di De Gaulle, l’insurrezione in Ungheria, la risposta alla nazionalizzazione del Canale di Suez voluta da Nasser che spinse Francia e Germania per prime a voler stringere» per la creazione di un’Unione che facesse da collante all’Europa. L’evoluzione ed il significato di quei due Trattati (quello per la creazione della Cee e quello per la nascita di Euratom), spiega Albonetti, sono così frutto di un «miracolo» della storia. Quei due documenti, «di 250 pagine ciascuno», furono «attaccati da tutti, anche da Altiero Spinelli».
Ma di fatto sono diventati la «preistoria degli Stati Uniti d’Europa», prosegue citando il titolo di un suo libro. Spiegando che il vero motivo, la vera esigenza dell’epoca in cui furono pensati e realizzati i Trattati è da cercarsi nell’ingresso nell’era nucleare. «Quella militare, non quella civile, che obbligava l’Europa a una politica estera comune, ad una politica di difesa comune» che non lasciasse solo URSS e USA protagonisti dello scacchiere mondiale. Era il nodo di allora. È quello di oggi, ha sottolineato il superstite ricordando come anche le attuali sfide, dai migranti alla crisi economica ed il fantasma dei populismi, devono mettere al primo posto, come priorità, la «difesa europea».
Ed è su questo che, ha auspicato Albonetti, si deve giocare e si giocherà la cerimonia prevista per sabato prossimo a Roma in occasione del 60mo anniversario della firma dei Trattati di Roma. «È importante che la difesa comune sia sostenuta e rilanciata, come prevede la Bozza di dichiarazione finale» in corso di definizione, aggiunge l’esperto sottolineando che altri aspetti come il nodo della doppia velocità sono un «falso problema. Quel concetto c’è già come nel caso di Schengen e dell’Euro: le cooperazioni rafforzate sono già previste nei trattati. Non è questa la questione», ma «una politica estera e di difesa europea a cui non c’è alternativa. Non occorre sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare…», ha concluso Albonetti citando la storica frase del generale olandese Guglielmo d’Orange, detto il ‘Taciturno’.
di Marina Perna
22 marzo 2017