All’agroalimentare italiano serve un deciso colpo d’acceleratore per consolidare la sua presenza sui mercati internazionali e raggiungere gli obiettivi. Per Nomisma, insomma, se si vuole arrivare al traguardo dei 50 miliardi di export agroalimentare entro il 2020 bisogna affrettare il passo, investendo maggiormente su mercati a più alto tasso di crescita economica come quelli asiatici. Altrimenti il traguardo viene spostato in avanti.
“Le nostre stime ci dicono infatti che, con lo scenario economico attuale, rischiamo di raggiungere l’obiettivo solo nel 2024”, ha detto Andrea Goldstein, managing director di Nomisma, in occasione della presentazione della piattaforma Agrifood Monitor, lanciata dall’istituto di studi bolognesi con Crif, che condensa in un unico strumento dinamico dati di fonti diverse per delineare un quadro di analisi completo, dalla struttura del settore in Italia ai trend sui mercati internazionali, partendo da due focus sul dairy in Gran Bretagna e sulle tendenze d’acquisto negli Emirati Arabi Uniti.
Con 2 milioni di imprese, 3,8 milioni di addetti, 130 miliardi di euro di valore aggiunto e 47 miliardi di export, la filiera agroindustriale italiana, ossia dai campi agli scaffali considerando anche la meccanica per il Food&Beverage, secondo Nomisma, è un settore chiave per l’economia nazionale, con potenzialità competitive ancora inespresse.
Ma non c’è solo Brexit, ha rilevato l’istituto bolognese, a turbare il sonno degli imprenditori agroindustriali italiani, in particolare di quelli che oggi esportano circa 3,6 miliardi di euro di prodotti finiti e macchine per il food nel mercato britannico. I negoziati per gli accordi di libero scambio (Ceta, TTIP) sono al palo, il commercio internazionale sta rallentando, mentre sale la pressione concorrenziale da parte di competitor globali e cambiano radicalmente le abitudini e gli stili di consumo dei consumatori occidentali. La concorrenza estera, sempre più agguerrita e organizzata, sta però erodendo quote sui mercati globali alle imprese agroalimentari italiane, spiega ancora l’istituto di studi bolognese, che scontano la micro-dimensione e strategie di internazionalizzazione spesso frammentate.
L’appeal del Made in Italy agroalimentare sulle tavole straniere è ancora intatto, ma la crescita dell’export sta rallentando (+1,7% nel primo trimestre 2016) e questo sposta al 2024 il traguardo dei 50 miliardi di euro di vendite oltreconfine. Sebbene nell’ultimo decennio l’incidenza si sia ridotta per le nostre esportazioni, il mercato europeo continua infatti a pesare per il 63% nel caso dei prodotti alimentari, per il 57% per le macchine agricole e per il 35% in riferimento ai macchinari per il Food&Beverage.
di Patrizia Marin
13 Luglio 2016