I prodotti alimentari Dop/Igp dell’Emilia Romagna sono tra più imitati al mondo, ma negli USA cresce la voglia di acquistare “vero” Made in Italy. Anche se a livello europeo i sequestri di prodotti contraffatti riguardano principalmente abbigliamento (12,5% del totale), medicinali (10,3%) e sigarette (9,1%), è sul fronte dell’imitazione/evocazione che i prodotti Dop/Igp non hanno rivali. Sono questi i temi di fondo che hanno caratterizzato il primo “Growing seeds Forum”, organizzato da Nomisma con Philip Morris Italia, un ciclo di seminari per scambiare idee e riflessioni per lo sviluppo del sistema economico dell’Emilia Romagna. Alla base, la presentazione di uno studio realizzato dall’Area Agroalimentare di Nomisma su cosa pensa il consumatore statunitense su origine, italian sounding e tracciabilità dei prodotti agroalimentari, effettuato grazie ad una survey che ha coinvolto 2.000 responsabili di acquisto di prodotti alimentari residenti in 6 aree metropolitane degli Stati Uniti.
Lo studio ha messo a fuoco il ruolo economico dei prodotti Dop/Igp regionali e le problematiche che questi affrontano in tema di contraffazione e imitazione sui mercati. Nel corso del 2014, l’ICQRF-Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari ha effettuato 60 segnalazioni “ex-officio” in tutta Europa (dove vige la tutela delle indicazioni geografiche) riguardanti pratiche imitative di prodotti Dop/Igp italiani, delle quali ben 40 relative a denominazioni dell’Emilia Romagna, in primis Parmigiano Reggiano, Aceto Balsamico di Modena e Prosciutto di Parma. Un danno incalcolabile per un sistema certificato che a livello regionale vale oltre 2,5 miliardi di euro e che fa dell’Emilia Romagna la prima regione in Europa per valore dei prodotti Dop/Igp (15% del valore complessivo legato al paniere di quasi 1.300 Dop/Igp a livello Ue).
Quello dei prodotti Dop emiliano-romagnoli, che assorbe oltre il 90% del latte vaccino prodotto in regione, è un sistema che sostiene l’economia di molte aree svantaggiate (il Parmigiano Reggiano rappresenta la prima Dop italiana per latte vaccino prodotto in montagna, circa 350.000 tonnellate contro le 77.000 del Trentingrana) e che concentra il 73% della produzione di prosciutti Dop italiani.
“In media la quota di prodotti Made in USA rappresenta il 73% della spesa alimentare delle famiglie”, ha sottolineato Denis Pantini, responsabile del settore agroalimentare di Nomisma, “e nella parte rimanente l’italianità dei prodotti assume un ruolo di primo piano: l’Italia figura al primo posto come origine di alimentari esteri più ricercati, dopo viene il Canada poi la Francia, con una predilezione particolare verso formaggi, pasta, olio d’oliva, sughi e vino. L’origine italiana rappresenta per il consumatore americano una garanzia di qualità (lo pensa il 72% dei consumatori) e sicurezza alimentare (19%), anche se il fenomeno dell’italian sounding rende difficile capire ciò che è realmente italiano”.
Lo si è compreso chiaramente quando, alla vista di due confezioni di Parmesan di produzione americana, il consumatore ha individuato la vera origine nel caso del trancio riportante un’etichetta con la sola menzione “Parmesan”, mentre ha attribuito l’origine italiana alla confezione che in etichetta aggiungeva il tricolore e altri segni richiamanti l’italianità. L’italian sounding, oltre a rappresentare una “mancata opportunità” per i produttori italiani, produce confusione nei consumatori americani, considerato che l’85% ritiene importante conoscere l’autenticità dei prodotti che acquista. Tanto che 9 consumatori su 10 sarebbero interessati all’utilizzo di sistemi in grado di identificare l’autenticità dei prodotti che compra, visto che con la tracciabilità lo stesso consumatore si sente garantito sia in termini di sicurezza alimentare che di origine e quindi di qualità.
“La tracciabilità è un processo, una cultura e non un elemento tecnologico puro”, ha sottolineato Claudio Bergonzi, segretario generale INDICAM: “come ha messo in evidenza lo studio Nomisma, occorre che si vada nella direzione di una trasparenza verso il consumatore, nel contempo garantendo all’enforcement immediatezza di verifica. La tracciabilità è parallela a una sana e corretta gestione della supply chain, e l’esempio del tabacco, prodotto agricolo come prodotto finito, potrebbe essere un buon inizio da cui partire anche nell’agro-alimentare.”
Proprio alla luce di tale interesse, dalla tavola rotonda sono emersi spunti interessanti per l’applicazione di tecnologie già utilizzate in altri settori per garantire la tracciabilità dei prodotti: tra questi, il caso del tabacco, con la soluzione tecnologica denominata “Codentify TM”, sviluppata da Fata Logistic Systems ed utilizzata oltre che per le sigarette anche per il nuovo prodotto del tabacco basato sul riscaldamento invece che sulla combustione, fabbricato a Bologna nei nuovi stabilimenti produttivi Philip Morris International.
Tale sistema di tracciabilità genera un codice univoco apposto su ciascun pacchetto, oltre che sulla stecca e sui cartoni di prodotti del tabacco, consentendo la loro tracciabilità lungo la filiera produttivo-distributiva. Una tecnologia che potrebbe essere estesa anche ai prodotti alimentari e che aiuterebbe a combattere quell’italian sounding che limita gli spazi di crescita delle nostre Dop/Igp sui mercati internazionali.
di Alexandra Rufini
10 Ottobre 2015