I formaggi italiani non soccomberanno in Gran Bretagna dopo l’uscita del Paese dall’UE. Con oltre 3,5 miliardi di euro, infatti, i prodotti lattiero-caseari Made in Italy rappresentano una delle voci più rilevanti e in crescita (+21% negli ultimi cinque anni) dell’import agroalimentare britannico. Sebbene la quota dell’Italia sia inferiore al 6%, insomma le prospettive di crescita sono positive. Anche se si realizzerà Brexit, sebbene non si sappia ancora con precisione quando, il Regno Unito resta infatti uno dei mercati potenzialmente più interessanti per le imprese alimentari italiane. Certo la svalutazione della sterlina e la volatilità dei mercati finanziari non gioveranno all’economia e alla capacità di spesa degli stessi consumatori inglesi rendendo così più complicata la vita ai nostri esportatori. Ma il posizionamento di cui gode il “Made in Italy” alimentare in questo mercato lascia presagire spazi di crescita interessanti per i nostri produttori, in particolare per quelli lattiero-caseari. È quanto emerge da una indagine condotta su un campione di circa 1.100 consumatori inglesi nel periodo a ridosso del referendum che ha poi sancito la volontà del Paese di uscire dall’UE e i cui risultati principali saranno presentati in occasione del lancio di “Agrifood Monitor”, la prima piattaforma informativa sulla filiera agroindustriale nata dalla collaborazione tra Nomisma e CRIF, il prossimo 12 luglio al Palazzo di Varignana, a Bologna.
“Per gli inglesi, il food&beverage rappresenta la categoria di prodotti più identitari del Made in Italy, ancor più di moda e accessori, tanto che 8 consumatori su 10 dichiarano di aver acquistato nell’ultimo anno almeno un prodotto alimentare italiano”, ha dichiarato Denis Pantini, direttore dell’area agroalimentare di Nomisma.
Nel 2015, l’export agroalimentare Made in Italy nel mercato britannico ha superato i 3,2 miliardi di euro, a fronte dei 2,96 dell’anno precedente e degli 1,9 miliardi di euro di dieci anni prima, evidenziando così una crescita decennale di oltre il 70%. Un trend favorevole che si riscontra anche nel primo trimestre di quest’anno, con un aumento dell’export agroalimentare superiore al 3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
“Dopo il vino che con 746 milioni di euro rappresenta la voce più consistente dell’export agroalimentare italiano nel Regno Unito, sono i formaggi assieme a pasta e a carni trasformate a figurare tra i principali prodotti del Made in Italy commercializzati in questo paese, ognuna di queste categorie con un valore all’export che nel 2015 è stato di circa 230 milioni di euro”, ha continuato Pantini.
In particolare i risultati della indagine “Agrifood Monitor” mettono in evidenza che mozzarella e parmigiano reggiano rappresentano i formaggi italiani maggiormente preferiti e consumati dagli inglesi, per i quali sono soprattutto l’unicità di gusti e sapori (lo pensa il 42% dei consumatori) e la tradizionalità del processo produttivo (29%) a renderli così apprezzati, ancor più del buon rapporto prezzo-qualità percepito dal 18% degli intervistati. Quest’ultimo un particolare di non poco conto, se si pensa che il prezzo rappresenta il primo criterio di acquisto preso in considerazione dal consumatore inglese negli acquisti di prodotti alimentari in generale.
Alla luce di queste potenzialità si comprende come, al di là dell’uscita dall’UE, il Regno Unito rappresenti un mercato da presidiare e sul quale investire, valutando necessariamente anche gli ostacoli e le difficoltà che con Brexit potrebbero amplificarsi. Tra questi vale la pena segnalare il sistema di etichettatura a semaforo – il cosiddetto “traffic light labelling”, ossia l’”etichettatura semaforo”, i cui effetti si sono dimostrati negativi sulle vendite di prodotti italiani nella GDO inglese e per il quale erano stati fatti passi in avanti a livello comunitario nel percorso di avvio per la procedura d’infrazione. Un cammino intrapreso che però a questo punto rischia di fermarsi definitivamente.
di Valentino Vilone
4 Luglio 2016