Le bufale nel giornalismo italiano rappresentano le notizie inventate. Insomma, quelle false. E quindi, eccezione fatta per le mozzarelle di bufala, quando le bufale giornalistiche vengono portate in tavola minano i consumi oltre che la qualità. Grazie alla mania tutta italiana di battezzare ogni parola con definizioni straniere, meglio se inglesi, ora le bufale giornalistiche si chiamano “fake news”.
Ben tre italiani su quattro (66%) sono preoccupati dell’impatto di quello che mangiano sulla salute anche per effetto, appunto, delle bufale sulle caratteristiche dei cibi che si moltiplicano in rete e spingono a comportamenti insensati e anche pericolosi. È quanto emerge dall’indagine Coldiretti/ixe’ presentata in occasione della campagna #stopfakeatavola, promossa dalla Coldiretti e dall’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare nell’ambito del corso di formazione, organizzato in collaborazione con la Scuola Superiore della Magistratura.
Il web si configura sempre più come un “porto franco” delle bufale alimentari con un preoccupante effetto valanga in una situazione in cui, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’, il 53% degli italiani lo ha utilizzato almeno qualche volta durante l’anno per raccogliere informazioni sulla qualità dei prodotti alimentari.
Ben il 25% degli italiani, secondo la Coldiretti, partecipa a community, blog e chat in internet centrate sul cibo, proprie o di altri, che influenzano le scelte di acquisto in modo non sempre corretto e veritiero.
“La scorretta informazione nell’alimentare ha un peso più rilevante che negli altri settori perché va a influenzare direttamente la salute. Per questo dobbiamo prestare particolare attenzione ed essere grati a quanti sono impegnati nello smascherare gli inganni”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
“Internet però non va criminalizzato perché può svolgere un ruolo di controllo importante in un sistema in cui”, ha precisato Moncalvo”, l’informazione alimentare purtroppo rischia di essere influenzata soprattutto dalle grandi multinazionali grazie alla disponibilità di risorse pubblicitarie investite. Per noi le fake news sono anche le pubblicità delle aranciate che contengono appena il 12% di succo o quelle dell’olio di oliva di grandi marchi che fanno immaginare paesaggi toscani mentre contiene quello importato dalla Tunisia o ancora il prosciutto nostrano che è fatto con maiali tedeschi senza alcuna informazione in etichetta per i consumatori”, ha continuato.
“Per questo siamo impegnati nell’educazione nelle scuole e nell’informazione nei mercati degli agricoltori con il progetto Campagna Amica che consente di ricostruire un rapporto diretto tra chi produce e chi consuma nel segno della trasparenza. Un arricchimento culturale che, con la conoscenza diretta, contribuisce a combattere le fake news, ma anche ad adottare comportamenti di acquisto più informati e consapevoli che aiutano a scegliere i prodotti sugli scaffali anche nelle forme più tradizionali della distribuzione. Campagna Amica con una presenza estesa dalle fattorie ai mercati, dai ristoranti al cibo di strada, dagli agriturismi agli orti urbani è diventata la più vasta rete di vendita diretta degli agricoltori organizzata con proprio marchio del mondo alla quale vanno riferimento oggi quasi ventimila agricoltori”, ha concluso Il presidente della Coldiretti, difendendo il patrimonio di una sana produzione agro-alimentare del Made in Italy.
di Eleonora Albertoni
8 Maggio 2017