Il record della pizza più lunga del mondo, di ben 1.853,88 metri, realizzato sul lungomare di Napoli spinge un business che vale 10 miliardi di euro, dove trovano occupazione almeno 100 mila lavoratori fissi, ai quali se ne aggiungono altri 50 mila nel fine settimana. È quanto emerge da una analisi divulgata dalla Coldiretti che ha collaborato al successo dell’iniziativa “l’Unione fa #pizzaunesco” promossa nel capoluogo partenopeo da Pizza Village con il patrocinio del Comune di Napoli, insieme all’Associazione Pizzaiuoli Napoletani e alla Fondazione Univerde.
Il superamento del precedente record – 1595,45 metri raggiunti il 20 giugno 2015 ad Expo Milano 2015 – è stato certificato dal Comitato mondiale del Guinness World Record con l’obiettivo di sostenere la candidatura dell’arte dei pizzaiuoli napoletani a patrimonio immateriale dell’Unesco, per la quale ci sono già un milione di firme raccolte in tutti i continenti, quasi la metà delle quali grazie all’impegno della rete dei mercati degli agricoltori di Campagna Amica lungo tutta la Penisola.
Al record hanno lavorato per 6 ore e 11 minuti oltre 250 pizzaioli, che come ingredienti hanno utilizzato la bellezza di duemila chili di farina e altrettanti di fiordilatte, 1.600 chili di pomodoro, 200 litri di olio e 30 chili di basilico, tutti rigorosamente Made in Italy al 100%. I pizzaioli, dopo aver steso l’impasto e farcito la pizza su una teglia da circa 40 centimetri di larghezza, hanno avviato la cottura grazie all’ausilio di 5 forni a legna realizzati su postazioni mobili con motore elettrico appositamente studiati.
Il record è stato realizzato proprio nel giorno della pubblicazione della richiesta italiana di riconoscere definitivamente il nome “Pizza Napoletana“, come denominazione di una Specialità tradizionale Garantita (STG), da tutelare contro imitazioni e falsi. Una necessità per allungare la protezione della denominazione conquistata dall’Italia nel 2009 oltre il termine del 4 gennaio 2023 previsto dalle norme.
Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze, anche se i maggiori “mangiatori” di pizza sono diventati gli Stati Uniti che fanno registrare il record mondiale dei consumi con una media di 13 chili per persona all’anno, quasi il doppio di quella degli italiani, che si collocano al secondo posto con una media di 7,6 chili a testa.
Una domanda che nelle circa 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio in Italia dà lavoro complessivamente ad oltre 150mila persone. Non è un caso che, secondo un sondaggio del sito www.coldiretti.it, oggi il 39% degli italiani ritiene che la pizza sia il simbolo culinario dell’Italia e che la pizza sia la parola italiana più conosciuta all’estero con l’8%, seguita dal cappuccino (7%), dagli spaghetti (7%) e dall’espresso (6%), secondo un sondaggio on line della Società Dante Alighieri.
La pizza è il prodotto gastronomico Made in Italy’ più conosciuto al mondo, un vero e proprio simbolo dell’Italia, frutto di un’arte secolare minacciata da una globalizzazione che rischia di reciderne le radici culturali e che merita. Il riconoscimento da parte dell’Unesco, grazie alla grande mobilitazione di cittadini e personalità di tutto il mondo e all’impegno del Governo italiano, ha ottenuto la candidatura ufficiale da parte della Commissione Nazionale Italiana Unesco nel marzo 2015, poi ripresentata nel marzo 2016. La world petition #pizzaUnesco ha avuto il sostegno di molte istituzioni culturali e sociali, organizzazioni, professionalità e personalità con eventi in tutto il mondo: da Londra a New York, da Buenos Aires e da S. Paolo a Las Vegas fino al Giappone e all’Australia.
“La partecipazione attiva della Coldiretti alla campagna ha l’obiettivo per garantire pizze realizzate a regola d’arte con prodotti genuini e provenienti dall’agricoltura italiana e combattere anche l’agropirateria internazionale” ha affermato Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti.
L’arte dei pizzaiuoli napoletani sarebbe di fatto il settimo “tesoro” italiano ad essere iscritto nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. L’elenco tricolore comprende anche l’Opera dei pupi (iscritta nel 2008), il Canto a tenore (2008), la Dieta mediterranea (2010), l’Arte del violino a Cremona (2012), le macchine a spalla per la processione (2013) e la vite ad alberello di Pantelleria (2014). Accanto al patrimonio culturale immateriale, l’Unesco ha riconosciuto nel corso degli anni anche un elenco di siti, e proprio l’Italia è lo stato che ne vanta il maggior numero a livello mondiale. Significativamente gli ultimi elementi ad essere iscritti negli elenchi, dallo Zibibbo di Pantelleria alla Dieta Mediterranea, fanno riferimento al patrimonio agroalimentare Made in Italy, a testimonianza della sempre maggiore importanza attribuita al cibo, non a caso scelto come tema simbolo dell’Expo Milano 2015.
di Letizia Freschi
19 Maggio 2016