Pizza uguale business. Con un fatturato stimato in 15 miliardi di euro all’anno la pizza, infatti, si conferma un tesoro del Made in Italy, simbolo del successo della dieta mediterranea nel mondo. Il dato è stato reso noto dalla Coldiretti in occasione della prima Giornata Internazionale della Pizza, dopo che l’Unesco ha proclamato l’arte dei pizzaioli patrimonio immateriale dell’umanità e a ridosso dell’attentato con la bomba esplosa davanti all’ingresso della storica pizzeria “Sorbillo” di via Tribunali, nel cuore del centro di Napoli.
Rotonda, quadrata, con o senza “cornicione”, a tranci, sottile, spessa, croccante o soffice, con mozzarella e pomodoro o con fiori di zucca e alici, oppure con verdure grigliate, la pizza si conferma uno dei piatti più versatili della cucina italiana e colonna portante di un sistema economico costituto da 127 mila locali in Italia dove si prepara e si serve. E la Campania è la regione che ha il maggior numero di attività, con il 16% del totale.
Una crescita che sostiene l’occupazione stimata in 100 mila addetti a tempo pieno e a di altrettanti 100 mila nel weekend. La passione per la pizza è planetaria, con gli americani che sono i maggiori consumatori con 13 chili a testa, mentre gli italiani guidano la classifica in Europa con 7,6 chili l’anno, e staccano spagnoli (4,3), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci che, con 3,3 chili di pizza pro capite annui, chiudono la classifica.
L’impatto dei circa 5 milioni di pizze sfornate al giorno si fa sentire anche sulla produzione agroalimentare in termini di ingredienti utilizzati durante l’anno con circa 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.
Insomma, un vero successo per un piatto della tradizione italiana che, però, moltiplica anche i rischi di utilizzo di ingredienti che non hanno nulla a che fare con il Made in Italy. Quasi due pizze su tre servite in Italia sono ottenute da un mix di ingredienti, dalla mozzarella lituana all’olio tunisino al grano ucraino, provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori.
Per questo si moltiplicano le iniziative per garantire l’originalità italiana degli ingredienti e una informazione completa e trasparente ai consumatori: dall’obbligo di indicare l’origine dell’olio extravergine di oliva stabilito dall’Unione Europea a quello per i prodotti lattiero caseari e derivati che scaturisce da decreti nazionali voluti dalla Coldiretti ed entrati in vigore il 19 aprile 2017, mentre l’etichettatura dei derivati del pomodoro è scattata nel 2018.
Ora l’obiettivo è portare la trasparenza dai banchi dei supermercati ai menu delle pizzerie dove occorre far conoscere ai clienti l’origine ti tutti gli ingredienti impiegati.
Una battaglia che la Coldiretti continua promuovendo insieme ad altre nove organizzazioni l’Iniziativa Europea dei Cittadini “EatORIGINal – Unmask your food” con una raccolta di firme per estendere l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti, sulla base dei dati del Sistema di Allerta Rapido (RASFF) relativi ai primi nove mesi dell’anno. Un’iniziativa autorizzata dalla stessa Commissione con la Decisione (UE) 2018/1304 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 244 del 28 settembre 2018 che gode del sostegno di numerose organizzazioni e sindacati di rappresentanza al fianco della Coldiretti: dalla Fnsea (il maggior sindacato agricolo francese) alla Ocu (la più grande associazione di consumatori spagnola), da Solidarnosc (storico sindacato polacco) alla Upa (l’Unione dei piccoli agricoltori in Spagna), da Slow Food a Gaia (associazione degli agricoltori greci), da Campagna amica a Fondazione Univerde, fino a Green protein (ONG svedese). E possibile aderire firmando suwww.coldiretti.it o www.campagnamica.it
di Patrizia Tonin
26 Gennaio 2019