Novant’anni e non sentirli. Radio RAI oggi spegne le fatidiche 90 candeline. Senza rughe, ma con qualche acciacco dovuto soprattutto ai tagli di bilancio, che riducono le risorse operative. Era il 6 ottobre 1924. A via Asiago, nel quartiere Prati, dove da diversi decenni si realizzano molte trasmissioni radio, il compleanno è stato molto sentito e per tutto il giorno i conduttori che si sono alternati al microfono hanno ricordato il dì di festa. Anzi, la solennità.
Ma per celebrare questa ricorrenza radiofonica si è scomodata pure la sorella “più giovane”, la televisione. Nel corso della giornata e per alcuni secondi sullo schermo di tutti i canali televisivi della RAI, infatti, scorrono diverse immagini in flash back che vogliono fa rivivere, con la voce dei protagonisti o dei commentatori dell’epoca, il racconto di alcuni dei momenti più significativi della nostra vita e della nostra storia.
Partendo dalla morte di Kennedy nel 1963, quando la RAI decise di interrompere le trasmissioni in segno di lutto, al discorso alla luna dell’anno prima del Papa buono, Giovanni XXIII. Dalla strage di via D’Amelio con il Gr1 che annuncia la barbara uccisione del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta, alla “Vita spericolata” di Vasco Rossi raccontata a Radio 2 negli anni ’80. A Mike Bongiorno che annuncia la vittoria di Gigliola Cinquetti al Sanremo del 1964 con “Non ho l’età”. Per non dimenticare tutti i momenti del grande sport come la conquista della medaglia d’oro di Pietro Mennea alle Olimpiadi di Mosca 1980. Ed è la prima volta da quando esiste la televisione in Italia e in Europa che la radio per un giorno diventa protagonista, parlando a tutti con le sole immagini evocate dalla sua voce.
Il 6 ottobre, quindi, non è soltanto la data del compleanno della radio RAI (e prima ancora si chiamava EIAR), ma è l’anniversario del più antico tra i mezzi di comunicazione di massa.
La radio RAI fu strumento di propaganda del fascismo, annunciò l’avvio e la fine della seconda guerra mondiale; consentì a tutti gli italiani, ancora prima della televisione, di imparare la lingua, di conoscere la grande musica e il grande teatro; fu terreno di sperimentazione dei primi varietà, ritrovo per gli intellettuali, culla di un nuovo modo di fare informazione, veicolo di protesta.
Prima con l’avvento della televisione, poi con il web, in tanti hanno più volte dato per morta la radio. Invece, ancora oggi, in un’epoca di bulimia mediatica, la radio è viva e vegeta: fedele e discreta compagna del quotidiano. Dovunque e senza bisogno di cavi e antenne o wifi.
Un amore nato alle 21 del 6 ottobre 1924, quando, in pieno Ventennio, la prima voce esce dai mega-apparecchi a valvole (che per funzionare dovevano prima scaldarsi per qualche minuto), predecessori di quelli più piccoli a transistor, e batterie svelando a tutti la potenza dell’invenzione che Guglielmo Marconi rese tangibile.
Era la sera del 6 ottobre 1924 e per la prima volta la radio entrava nelle case degli italiani. In pieno regime fascista, in un’Italia ancora agraria e povera, solo pochi decenni dopo l’Unità del Paese, va in onda la prima trasmissione radiofonica. La voce è quella di Ines Viviani Donarelli. Il primo programma è composto da musica operistica, un bollettino meteorologico e notizie di borsa.
Maria Luisa Boncompagni passa alla storia come la prima “signorina buonasera”. La RAI allora non c’è ancora. La concessionaria è l’Unione Radiofonica Italiana (poi EIAR) e l’Agenzia Stefani è l’unica fonte delle notizie.
Con le cronache del regime, negli anni ’30, nasce la diretta e lo sport invade le case gli italiani: Nicolò Carosio accompagna la nazionale alla vittoria dei Mondiali di calcio del ’34 e del ’38. C’è anche lui, nel ’59, quando parte “Tutto il calcio minuto per minuto”, trasmissione immortale che raggiunge i 25 milioni di ascoltatori, rendendo indelebili le voci, tra gli altri, di Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Beppe Viola, Nando Martellini.
Tutti figli della radio, come Nunzio Filogamo, che nel ’34 esordisce nella rivista “I quattro moschettieri” con la frase: “Miei cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate!”. Antesignano dei presentatori, dal ’51 conduce le prime quattro edizioni del Festival di Sanremo, trasmesse soltanto in radio (solo dal ’55 ci sarà la diretta televisiva). Sono anni in cui la radio si apre a nuovi generi: il 7 maggio ’45, giorno in cui un ufficiale destinato al giornalismo, Jader Jacobelli, dà per primo in Europa la notizia dell’Italia liberata, è già lontano.
Francesco Cossiga è il primo collaboratore non militare della radio postbellica, presto Giulio Andreotti gli fa compagnia. Nel ’49 vede la luce la RAI e gli studi di via Asiago diventano un simbolo.
Con l’arrivo dei tre Programmi Nazionali, nascono Radiosera, primo Gr moderno, le rubriche di approfondimento, tra cui “Ciak” di Lello Bersani, il varietà con “Il Rosso e il nero”. Emergono Enzo Biagi, Sergio Zavoli e dal ’58 Indro Montanelli racconta la storia del nostro paese.
Enzo Tortora conduce, invece, il primo contenitore, “Il signore delle 13”. Muovono i primi passi Alberto Sordi, con i personaggi di Mario Pio e del Conte Claro, e Franca Valeri con la sua Signorina Snob. L’intrattenimento conquista le case: nel ’66 arriva “Gran Varietà”, per anni appuntamento della domenica mattina per le famiglie. Poi tocca a “La corrida” di Corrado (Mantoni).
La programmazione culturale trova il suo apice nel ’73 con le “Interviste impossibili”, realizzate da intellettuali come Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Italo Calvino. Sono anni in cui la censura è ancora forte in RAI.
La metà degli anni ’70 è uno spartiacque: sulla scia delle rivolte studentesche, inizia l’epoca delle radio libere. Molte emittenti private sono connotate politicamente, come Radio Popolare a Milano (dove negli ’80 nasce la Gialappa’s) e Radio Onda Rossa a Roma, la cui storia è legata a doppio filo a quella sinistra extraparlamentare. In Sicilia Peppino Impastato paga con la vita lo spirito di libertà di Radio Aut, che utilizza per scagliarsi contro i mafiosi della sua città. Emerge anche Radio Radicale, che si afferma come servizio pubblico alternativo alla RAI. Lo stile delle radio libere è tutto nuovo, meno ingessato e libero dal controllo governativo. Anche la RAI è costretta ad allinearsi alle nuove tendenze, che già avevano fatto breccia con Radio Montecarlo, in grado di trasmettere dall’estero.
A rompere rigidità e tabù imposti da Viale Mazzini, arrivano “Alto Gradimento”, e prima ancora “Bandiera Gialla”, trasmissioni con cui Renzo Arbore e Gianni Boncompagni rivoluzionano il modo di fare radio, con trasmissioni figlie di questo clima innovativo e molto meno ingessato e paludato. Con “Chiamate Roma 3131” la RAI apre anche alle telefonate degli ascoltatori.
La partecipazione del pubblico è centrale nelle radio libere, che spesso sono proprietà di cooperative e si reggono sul lavoro dei volontari. Quello spirito negli anni si perde, la programmazione diventa più commerciale. La musica è essenziale per riempire i palinsesti e proprio in radio, come dj, iniziano la carriera star come Vasco Rossi o Jovanotti. Si affermano emittenti come Rtl 102,5, Radio Dj, Radio 105, Rds e trasmissioni capaci di miscelare canzoni e intrattenimento. Per arrivare ad oggi con trasmissione di rottura e provocatorie, come “La Zanzara” di Radio24. Ma anche la stessa radio RAI da anni sta proponendo programmi irriverenti e ironici, come “Un giorno da pecora”, “Il ruggito del Coniglio” e “Caterpillar”. Ma ci sono anche trasmissioni satiriche come “Black out”, dello storico autore Enrico Vaime, in onda da oltre 20 anni ogni sabato e domenica mattina.
Così la radio da allora continua a vivere, cercando sempre di mantenersi giovane, al passo con i tempie e, se possibile, anticipandoli e attirando tanti ascoltatori (secondo le ultime stime sono 35 milioni in Italia), molti giovanissimi. Un pubblico che, invece, le televisioni generaliste vanno pian piano perdendo.
6 ottobre 2014
di Dario de Marchi